di OSWALD CHAMBERS – “Voi mi chiamate Maestro e Signore; e dite bene, perché lo sono”. (Giovanni 13: 13). – Il Signore non impone mai la Sua autorità; non dice mai: « Devi. » Egli ci lascia perfettamente liberi, così liberi che si può arrivare a sputarGli in faccia, come gli uomini hanno fatto; così liberi che si può arrivare a metterLo a morte, come gli uomini hanno fatto; ed Egli non dirà nulla. Ma quando la Sua vita è stata creata in me per mezzo della Sua redenzione, io riconosco immediatamente il Suo diritto di avere autorità assoluta su di me. E’ una signoria morale: «Tu sei degno, o Signore…” Mi rifiuto d’inchinarmi dinanzi a ciò che è degno solo perché sono un indegno, e rivelo questa mia indegnità anche quando incontro una persona più santa di me e rifiuto di riconoscere il suo valore e di ubbidire ai dettami che da essa provengono. Dio ci educa per mezzo di coloro che sono anche di poco migliori di noi, non intellettualmente ma «in santità», finché non ci mettiamo direttamente sotto la signoria di Cristo; immediatamente tutto il nostro modo di condurci si volge ad ubbidirGli.
Se il Signore insistesse per essere ubbidito, si tramuterebbe in un sorvegliante, in un controllore, e cesserebbe di avere qualsiasi autorità. Egli non insiste mai sull’ubbidienza; ma ci basta vederLo — e subito Gli ubbidiamo, perché subito Lo riconosciamo Signore e Lo adoriamo del continuo. Il mio modo di concepire l’ubbidienza dà la misura del mio progredire nella grazia. Dobbiamo riscattare la parola «ubbidienza» restituendola al suo vero valore. L’ubbidienza è possibile solo fra eguali; è il rapporto fra padre e figlio, non fra padrone e servo. «Io e il Padre siamo Uno»; «benché fosse Figlio, imparò l’ubbidienza dalle cose che soffrì». Il Figlio ubbidì per essere il Redentore; ubbidì perché era Figlio, e non per essere Figlio.
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