Conosco un uomo che, dopo essersi sposato e avere avuto con mille difficoltà il suo primogenito, si accorse che Dio stava chiedendo indietro la vita del piccolo. E, come potete tutti immaginare, non sapeva cosa fare.
Persino i migliori consigli di altri Pastori e la preghiera di uomini di Dio interessati alla situazione gli sembravano soltanto uno sbattere contro ad un muro di gomma. La questione, l’unica, che scaturiva dal suo cuore era racchiusa in una domanda: “Signore, perché proprio a me”? Passano le ore e quel piccolo fanciullo, in camera di rianimazione, non sembrava migliorare, anzi la situazione peggiorava. Che senso avrebbe avuto ancora la sua vita? Sopravvivere ad un figlio è la cosa peggiore che può capitare ad un essere umano. Tanto più che, come cristiano, non poteva neanche comprendere come mai le preghiera sembrassero non avere effetto. Finalmente, al culmine della sua disperazione, si accasciò contro il muro dell’ospedale, aspettando quasi con rassegnazione che si aprisse quella porta ad annunciare la scomparsa del piccolo fanciullo. Lacrime e angoscia erano palpabili. In continuazione rigavano le sue guance tanto che si confondevano con il sudore che stava scendendo dal suo capo in quell’afosa giornata di estate. “Perché non a te”? si sentì rispondere. Cosa hai mai fatto di buono per essere esonerato da ogni prova? Siamo tutti peccatori e il nostro cuore è insanabilmente malvagio… E quella voce continuò a ribadire: “Chi ha fatto la bocca dell’uomo? Chi rende muto o sordo o veggente o cieco? Non sono io, il SIGNORE?”.
Più tardi quell’uomo scoprì che erano le parole di Esodo 4:11, mentre Dio contendeva con Mosè che si lamentava per la sua balbuzie. Quell’uomo allora comprese. Non doveva chiedere il perché ma doveva dire “Sia fatta la tua volontà e non la mia”. Poi aggiunse … “Dio, io non merito nulla, ma se puoi lascia che questo calice passi sopra di me”. Vi furono dei minuti di silenzio. Minuti interminabili. Minuti nei quali quell’uomo immaginò perfino di essersi sognato tutto. Ma, dopo qualche minuto, si aprì la porta della rianimazione annunciando che quel ragazzo era improvvisamente guarito. E quell’uomo in lacrime, prima di andare da suo figlio, si mise in ginocchio e pregò dicendo: “grazie Padre, nel nome del Signore Gesù Cristo, amen!”. Si alzò, cominciò ad avviarsi verso la stanza quando sentì sussurrare una calda voce dietro le sue orecchie: “quel calice l’ho bevuto io, non temere di nulla… ho tutto sotto controllo!”.
Gabriele Paolini
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