La vicenda dello sgombero di piazza Indipendenza a Roma ripropone l’indignazione di coloro per i quali l’immigrato ha sempre e comunque ragione e il poliziotto è cattivo per definizione. Ma i fatti avvenuti a due passi dalla stazione Termini meritano un’analisi più accurata delle accuse di razzismo lanciate dai perbenisti che, quasi sempre, si riempiono la bocca con il “diritto alla casa” senza aver mai saputo cosa significa spaccarsi la schiena per pagare l’affitto di un monolocale in estrema periferia come fanno molte famiglie, italiane e straniere, per sbarcare il lunario.
Per comprendere quello che veramente è accaduto bisogna in primis ripercorrere la storia dell’occupazione dello Stabile ex sede di Isrpa (Istituto per la protezione e la ricerca sull’ambiente) e Federconsorzi, e in secondo luogo tratteggiare l’emergenza abitativa che da sempre attanaglia la capitale.
Nessuno vuole negare il dramma che può vivere un migrante che scappa dal proprio paese, ma in questo caso è necessario smontare la narrazione dei perbenisti, secondo la quale la questura ha calpestato il diritto all’accoglienza con abuso di potere e violenza.
Anzitutto bisogna sapere che l’immobile occupato per circa quattro anni è un edificio di pregio, vincolato dalla Sovrintendenza. Circa 33mila metri quadrati, 9 piani più due interrati, con tanto di auditorium. Un edificio razionalista costruito negli anni Cinquanta e decorato con un fregio bronzeo di Pericle Fazzini. Dal 2011 proprietario del palazzo è divenuto Fondo Omega che voleva inizialmente trasformarlo in un albergo ma poi nell’ottobre del 2013 è arrivata l’occupazione dei movimenti romani di lotta per la casa, ovvero i centri sociali di estrema sinistra che in questi anni stanno strumentalizzando la disperazione di molti immigrati. Così annunciavano i militanti dei movimenti quattro anni fa: “600 rifugiati si sono riappropriati dell’ex Agenzia per la protezione dell’ambiente dimostrando che la riappropriazione e la lotta è l’unica strada per riconquistare dignità”.
L’occupazione va avanti e lo stabile arriva ad ospitare circa 1000 persone, in maggioranza profughi etiopi ed eritrei. Intanto la nuova proprietà continua a pagare tutte le utenze (luce, acqua…) e nel 2015 ottiene dal tribunale la sentenza di sfratto che però non viene mai eseguita malgrado i continui solleciti del fondo immobiliare. Di fronte allo stato di pericolosità e degrado in cui versano gli occupanti si emette infine il procedimento esecutivo per lo sgombero che avviene lo scorso sabato, senza alcuna violenza. Ma diversi migranti restano accampati nel giardino di piazza Indipendenza e circa 100 persone, le più deboli con bambini, sono lasciate temporaneamente nell’edificio.
Fomentati dai centri sociali i profughi dicono chiaramente che da lì non si muoveranno. L’offerta di alloggi a Rieti o nella periferia romana vengono rifiutate perché si sono integrati in quel quartiere e lì vogliono vivere. Va spiegato infatti che piazza Indipendenza è in una posizione centralissima ed è servita anche da una stazione della linea B della metropolitana. Motivazioni surreali se si considera che decine di migliaia di giovani sono finiti negli angoli più remoti della provincia e ogni giorno sono costretti ad ore di pendolarismo per permettersi un buco dove abitare.
Giovedì la Polizia e la Prefettura tornano quindi ad agire su disposizione della magistratura, colmando la latitanza più totale delle istituzioni politiche (Comune, Regione e Governo). Il nuovo sgombero provoca la guerriglia urbana finita su tutti i tg nazionali. Sotto accusa finiscono gli agenti delle forze dell’ordine e l’uso degli idranti, senza il quale sarebbero però potute esplodere molte delle bombole di gas da 60 litri lanciate dallo stabile occupato.
Le aggressioni dei manifestanti, infiltrati dai movimenti di lotta per la casa, sono ignorate dalla grande stampa che si concentra, invece, sulle parole del dirigente di polizia che esorta i colleghi a rompere le braccia di coloro che animano le sassaiole. Minacce che non avranno alcun seguito, come dimostra il bilancio degli incidenti che vede appena due fermi e pochi feriti di lieve entità.
Con le sgombero ancora in corso arriva la condanna delle Ong, dell’Unhcr (Alto Commissariato Onu per i Rifugiati) e dell’Unicef, mentre intellettuali e giornalisti noti e meno noti parlano di deportazione, di azione fascista e di città che “non riconoscono”. In realtà chi ne ha diritto è subito assistito. Il Campidoglio in serata informa che delle 107 fragilità 20 erano state prese in carico presso il circuito di assistenza capitolino nei giorni scorsi. Altri 28, di cui 9 minorenni, sono stati collocati dopo lo sgombero. “Gli altri non hanno accettato le sistemazioni proposte ma continuano a ricevere tutta l’assistenza necessaria”. Per loro – si legge sulla stampa locale – le soluzioni rimangono le stesse ovvero quelle decise mercoledì in Prefettura: centri di prima accoglienza (a Torre Maura o Boccea) oppure degli alloggi temporanei in Provincia di Rieti.
Nelle stesse ore si segnalano le lucide parole espresse dal prefetto Paola Basilone: “Cominciamo col dire che gli aggrediti, fino a prova contraria, sono stati i poliziotti”. E poi ha aggiunto “Tra gli occupanti c’erano tanti soggetti infiltrati, non certo rifugiati”. Emblematico anche il punto fatto sulla situazione delle grandi occupazioni che puntellano tutto il territorio della capitale: “Sono sconvolta perché sono 100, quando ero a Torino ne avevo una”.
Non si può infatti sottovalutare il ruolo dei movimenti che gestiscono il circuito delle occupazioni abusive che per anni hanno strumentalizzato gli immigrati, avendo anche protezioni a livello politico che coprivano i loro blitz in tutta la città.
Ad ogni modo, gestire mille migranti in una città di 3 milioni di abitanti dovrebbe essere alla portata di qualsiasi amministrazione, se non fosse che questi vanno a sommarsi ad un’emergenza abitativa cronica.
Di sicuro sarebbe giusto vedere la stessa indignazione per le oltre 3200 sentenze di sfratto che vengono eseguite ogni anno nell’Urbe. Secondo i dati forniti dal Ministero dell’Interno, nel 2016 i rilasci forzati degli immobili sono stati 3215 (circa 12 al giorno). Il numero più alto di sempre. Un più 6,11% rispetto al 2015 quando comunque si registrò un primato con quota 3030. Le sentenze di sfratto (quelli non ancora eseguiti) sono invece oltre 7000. Numeri in constante aumento e che hanno avuto uno sbalzo dopo la mancata proroga del fermo degli sfratti decisa dal ministro delle infrastrutture Lupi nel 2014. Per lo più i colpiti sono pensionati, famiglie con disabili e disoccupati che cadono nel dramma della morosità incolpevole.
Che si tratti di stranieri o italiani le soluzioni proposte sono i residence, strutture di assistenza alloggiativa temporanea, questo perché la graduatoria per l’accesso alle case popolari è ormai inaccessibile visto che oltre 10mila famiglie aventi diritto sono in attesa da anni.
Quindi chi parla di accoglienza senza se e senza ma dovrebbe tenere ben presente questi numeri, perché il far west che imperversa nella gestione degli immobili pubblici – che molti tollerano – colpisce proprio i cittadini più bisognosi di aiuto.
di Marco Guerra | Lanuovabq.it
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