La manifestazione organizzata dall’Unione sindacale di base sabato 17 dicembre a Firenze ha riunito migranti, profughi e lavoratori in nome dell’uguaglianza dei diritti.
Un percorso comune, una richiesta di attenzione dal basso verso l’alto: la manifestazione organizzata dalla Cispm, la Coalizione Internazionale Sans-papiers, Migranti, Rifugiati e Richiedenti asilo, insieme all’Unione sindacale di base toscana, ha riunito migliaia di migranti, richiedenti asilo e lavoratori in una piazza in cui le differenze sono un valore, a patto che conducano verso un’uguaglianza di diritti.
Quella di sabato è stata una piazza che ha voluto anche denunciare il sistema emergenziale dell’accoglienza, che ha costi sproporzionati rispetto alle ricadute e molto raramente porta al riconoscimento dei diritti di chi fugge da guerra o miseria e cerca di ricominciare in Europa.
«La manifestazione di sabato – spiega Aboubakar Soumahoro, responsabile immigrazione di Usb, Unione sindacale di base – ha avuto come protagonisti i lavoratori, e il corteo ha avuto la capacità attraverso di loro di porre al centro la questione dei diritti, della dignità umana, indipendentemente dalla provenienza geografica e dal colore della pelle».
Uno dei temi al centro della manifestazione è stata l’accoglienza. Perché?
«La marea umana che ha girato per le strade di Firenze ha posto la questione del sistema di accoglienza italiana, e non si può continuare a far finta di essere di fronte a una situazione di emergenza: come abbiamo già detto molte volte, il fenomeno è strutturale e non possiamo affrontarlo con logiche emergenziali. Inoltre mancano leggi che permettano di andare a creare una vera cultura in grado di dare dignità ai profughi e dare dignità ai lavoratori. Ecco, questo è stato uno dei temi, abbiamo denunciato quello che possiamo chiamare business dell’accoglienza, un approccio che va a danneggiare tutti quelli che nel campo dell’accoglienza dei profughi fanno invece un ottimo lavoro, aprendo invece la via per il malaffare. Un elemento centrale è un accoglienza che tenga in conto il riconoscimento dei diritti sapendo che abbiamo di fronte la dignità degli esseri umani».
Oltre a questo però ci sono altri temi, come quello della certezza del diritto, giusto?
«Esatto. Il secondo elemento che era al centro dell’iniziativa richiamava l’attenzione anche sul governo: quando un profugo presenta la domanda di riconoscimento della protezione internazionale entra in una fase di attesa. Se e quando questa sua domanda viene respinta, le persone entrano invece in una condizione di limbo, diventano delle vite sospese. Da una parte infatti escono dalla struttura e dalle misure di accoglienza, dall’altra parte però non sempre diventa un soggetto da espellere. Abbiamo oltre 50.000 persone che vivono in questa condizione di limbo e che rischiano di passare alla condizione di devianza sociale, oppure sfruttati nei campi di raccolta o comunque costretti a raccogliere nei cassonetti dell’immondizia».
Un’affermazione centrale della manifestazione è stata “senza paura”. Che cosa significa?
«Significa che senza paura vogliamo parlare di diritti, senza paura vogliamo parlare di dignità umana, ma senza paura vogliamo anche ribadire un concetto: la strada intrapresa dall’Unione europea con la firma nelle ultime settimane di due accordi, uno con il governo del Niger, l’altro con quello del Mali, per la deportazione delle persone, vanno a scontrarsi con i principi base di quello che possiamo chiamare il valore della dignità umana. Con quale coscienza si possono rimandare le persone nelle terre d’origine, laddove sono fuggiti da situazione di guerre o da situazione di miseria, create dalle politiche portate avanti negli ultimi anni con la complicità dei governanti di questi stati e dell’Unione europea? A questo aggiungiamo anche il saccheggio delle risorse nazionali, le cui responsabilità vanno oltre l’Europa, perché sono principalmente della Cina e di altri Paesi asiatici, così come dei Paesi della Penisola araba: si mandano via i contadini, prendendo per anni e anni le loro terre, e quindi di fatto affamando le persone. È questo insieme di cose che abbiamo rimesso in piazza sabato».
Secondo voi bisogna investire maggiormente nell’accoglienza?
«Non esattamente. Vogliamo ricordare che l’Europa nell’ultimo bilancio ha consegnato 15 miliardi di euro all’Italia. Ecco, questi soldi non sono spesi nel modo corretto, al punto da andare ad alimentare quelle voci che si sentono purtroppo ripetere da alcuni cittadini strumentalizzati e ingannati, imbeccati da alcuni soggetti politici che continuano a dire che ai rifugiati vengono dati 35 euro al giorno mentre i pensionati italiani sono costretti a vivere nella miseria. Bisogna spiegare la verità, cioè per esempio che il rifugiato non è un viaggiatore, non è un turista, e al rifugiato, dei famosi 35 euro che vengono erogati, non arrivano neppure 3 euro. Dall’altra parte ai pensionati italiani bisogna spiegare che anche se oggi si trova in una condizione di assoluta povertà, e i dati sono abbastanza evidenti, la colpa non è del migrante ma è di chi in questi anni sta impoverendo i migranti e sfrutta i loro Paesi di provenienza. Oggi questo impoverimento colpisce l’Italia, i pensionati, i giovani, tutti coloro che subiscono la corsa verso la povertà e la disoccupazione».
Questa manifestazione possiamo considerarla una base per costruire insieme una piattaforma che affronti in forma sindacale questi diritti, e non solo come affermazione di principio?
«Il nostro corteo in una piazza meticcia che ha sottolineato questo elemento dove neri, gialli e bianchi hanno lo stesso diritto. Ecco, questo discorso lo stiamo già facendo sul territorio, partendo anche da alcune realtà che ci vedono impegnati, a Venosa per esempio insieme alla Chiesa metodista gestiamo anche uno sportello di assistenza migranti nel quale ci occupiamo dei braccianti, affrontiamo il tema della sindacalizzazione, il della contrattazione sociale rispetto ai diritti sociali, i diritti sindacali per tutti. Non dimentichiamo che se oggi cade la diga cadiamo tutti: si parte dai migranti, ma l’obiettivo è quello di andare a coinvolgere l’insieme della popolazione, l’insieme dei lavoratori, perché solo l’unità tra i soggetti diversi a partire dai bisogni permetterà di costruire percorsi comuni cambiando la discussone sui diritti, indipendentemente dal colore della pelle e dalla provenienza. Mettiamo al centro l’essere umano».
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