23andMe, finanziata dal colosso di Mountain View, offre una conoscenza anticipata di ciò che ci accadrà leggendo il nostro genoma. Forse. Ciò che è certo è che «non è un mondo in cui vorrei vivere».
L’uomo è solamente il suo Dna? Prima di sposarci dovremmo controllare il corredo genetico del partner e valutare in anticipo come potrebbe risultare quello dei nostri figli? Queste domande non sono così futuristiche e campate in aria come possono sembrare, se è vero, come dichiarato da 23andMe, che già 900 mila persone hanno utilizzato i loro test di genotipizzazione.
PREDIRE IL FUTURO. La società californiana fondata nel 2006, e finanziata in parte da Google, promette di esaminare una sequenza del Dna del donatore e, paragonandolo con altri, di individuare le variazioni genetiche anomale e, di conseguenza, le possibili malattie che potrebbero essere correlate alla variazione genetica. In sostanza, per la modica cifra di 99 dollari, 23andMe offre una conoscenza anticipata di ciò che ci accadrà leggendo il nostro genoma.
Questa, almeno, è la versione ufficiale. Le previsioni infatti sono quanto mai dubbie, nessuno ne conosce la reale attendibilità ed è per questo che la Fda americana, che regola la vendita dei prodotti farmaceutici, nel 2013 ha vietato alla start-up di interpretare i risultati dei test, non avendo alcun titolo medico per farlo. 23andMe, perciò, ha proseguito nel suo business vendendo ad alcune farmaceutiche molti dati genetici acquisiti e fondando in Canada e Gran Bretagna due nuove società in grado di fornire le previsioni che negli Stati Uniti non possono più essere avanzate.
GOOGLE E LA SINGOLARITÀ. Non è strano che dalle parti di Google ci si dedichi a Dna, genotipi e quant’altro, perché nell’azienda della Silicon Valley la singolarità va di moda. Che cos’è la singolarità? Per Ray Kurzweil, nominato direttore della sezione ingegneristica di Google, il cuore pulsante del colosso californiano, è una filosofia quasi messianica che preconizza un futuro in cui l’uomo e la macchina si fonderanno per dare vita a una nuova, più perfetta creatura. È chiaro che raccogliere dati su Dna e variazioni genetiche è un passo fondamentale per ogni singolaritiano.
Il 19 febbraio la Fda ha autorizzato la vendita di un primo test genetico per rilevare eventuali malattie del sangue. Il produttore, neanche a dirlo, è 23andMe. Secondo il genetista Patrick Gaudray, intervistato dal Le Monde, «il valore predittivo e clinico di questi test è sovrastimato perché mostra solo le mutazioni dei geni, correlate all’apparizione di malattie comuni, ma senza che sia stato dimostrato un legame di causa-effetto».
COME ANGELINA JOLIE. Una probabilità poi è difficile da interpretare: «Prendiamo il caso della mutazione classica del gene BRCA1», continua il genetista, «che espone a un rischio di cancro al seno. A una donna puoi solo dire: “Hai il 60 per cento di rischio di contrarre un cancro al seno prima dei 70 anni”. Però essere indenni da questa mutazione non protegge dal cancro al seno. C’è il rischio che la predizione, porti alla prevenzione», che però non è giustificata.
Se poi non esiste nessuna cura alle ipotetiche malattie che secondo il test potremmo contrarre, «questo non fa per forza bene a una persona». Ma anche negli altri casi, porta a dilemmi preventivi: «Tutti i portatori dei geni BRCA1 e BRCA2 devono farsi levare i seni, le ovaie e le tube di Falloppio?». Devono, cioè, agire tutti come Angelina Jolie?
«NON SIAMO I NOSTRI GENI». Il problema di fondo però è un altro ancora, perché «questi test ci riducono alla nostra dimensione genetica e annullano la nostra dimensione psicologica, affettiva e sociale. Noi non siamo il prodotto dei nostri geni». Chi l’ha detto che «la nostra vita dovrebbe essere interamente guidata dai nostri geni», con i test genetici che vengono fatti fare in via obbligatoria magari «dalle compagnie assicurative? (…) Questo non è un mondo in cui vorrei vivere».
Un mondo, esplicita Gaudray, «dove si arriverebbe a definire qual è il “Dna normale”», ci si ridurrebbe a «matrimoni genetici» e si tornerebbe a inseguire «il mito del figlio perfetto. Ma quale perfezione? Sulla base di quali norme, definite da chi?». Forse da Google.
Leone Grotti
Ti è piaciuto l'articolo? Sostienici con un "Mi Piace" qui sotto nella nostra pagina Facebook