Se l’Occidente vuole sconfiggere il terrorismo, deve imparare dagli armeni

Testimonianza e scoperte di una studentessa americana catapultata nel Nagorno Karabakh. «L’Occidente non ha guadagnato nulla dall’aver voltato le spalle al popolo armeno».

Il paese di Artsakh esiste staccato dalla parte occidentale del mondo. Quel poco che sappiamo di Artsakh dai media tradizionale (sempre di dubbia autenticità) riguarda solo la “guerra” tra i nativi armeni di Artsakh e l’Azerbaijan. Non viene mai scritto nulla sulla vita quotidiana di Artsakh, decisamente diversa dalle suggestioni che provengono dai media riguardo a una situazione di caos e guerra costante.

Al contrario, non c’è alcuna guerra in atto e la gente vive come noi in America, prendendo il caffè alla mattina prima di andare al lavoro per sostenere la propria famiglia. Ci sono maestosi edifici governativi, diversi alimentari e negozi di abbigliamento, ristoranti e trasporti pubblici. Il livello del crimine è basso e ho capito facendo ritorno ogni sera a piedi al mio appartamento che le strade di Stepanakert (capitale del Nagorno Karabakh, ndr) sono più sicure di quelle di New York. Anche quando è tardi, i bambini giocano nella piazza di Stepanakert e i genitori si sentono abbastanza sicuri per guardarli solo a distanza.

È vero che restano ancora delle tensioni tra Artsakh e Azerbaijan, ma gli armeni non indietreggiano davanti al male, piuttosto rimangono forti e resistono con coraggio. Sono onesti, gran lavoratori, attenti alla famiglia e generosi, anche nei confronti degli stranieri come me che conoscono solo la parola “Barev!” della loro lingua. Come popolo sono determinati ad accrescere e proteggere la loro cultura e la loro storia, sempre avendo chiaro in mente che cosa significa essere un uomo e una donna di Artsakh.

L’Occidente non ha guadagnato nulla dall’aver voltato le spalle al popolo armeno. Come americana, trovo questa ignoranza particolarmente deplorevole, visto che abbiamo legami storici con gli armeni. Nel 1915, mentre il genocidio armeno prendeva piede in Turchia, la Near East Relief veniva fondata in Syracuse, New York (non lontano dalla mia città d’origine) con l’obiettivo di proteggere e offrire riparo ai rifugiati armeni. La fondazione e i suoi volontari sono stati cruciali nell’assicurare la sopravvivenza del popolo armeno e i nostri sforzi in questo senso offrono un’idea di ciò che rende grandi noi americani, la consapevolezza cioè che ogni persona umana ha ugualmente diritto alla vita ed è libero di scegliere la sua strada verso la felicità.

Crediamo anche che quando questi diritti umani basilari vengono calpestati, abbiamo l’obbligo di proteggerli, non solo a parole ma anche con i fatti. Eppure abbiamo dimenticato questi atti eroici e la Near East Relief non ha più un’idea chiara su cosa significa essere americani. Un esempio simile di virtù americane dovrebbe essere vicino ai nostri cuori, invece l’abbiamo spazzato via dalla nostra memoria. Questo oblio non è un caso, ma è diventato la normalità di una cultura e di un’identità americane che sono più confuse che mai.

È ripetendo certe azioni che il carattere di un uomo si forma. Ripentendo gesti generosi, un uomo diventa generoso. Allo stesso modo, la storia incoraggia le abitudini di una comunità di persone. In Artsakh genitori e figli restano legati per tradizione e questo obbliga i genitori a sapere come facilitare questo tipo di legami. Le loro tradizioni portano a buone abitudini come l’essere bravi genitori e così facilitano la crescita di brave persone. Gli armeni di Artsakh praticano ancora le loro tradizioni millenarie. Conoscono i propri monumenti storici, soprattutto chiese cristiane, e sono sempre pronti a condividere informazioni sulla loro collocazione, data di costruzione e importanza culturale. Sono orgogliosi quando parlano dei loro re antichi e delle loro grandi imprese. Conoscono la loro storia e quindi sanno chi sono. La loro storia li rende uniti e coerenti come comunità.

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In Occidente invece siamo divisi, perché ci mancano le radici. I popoli occidentali provengono da diversi retroterra e hanno opinioni le più diverse, ma ci deve essere qualcosa di più profondo che ci unisce. Il popolo di Artsakh affonda le radici nella sua storia e queste radici lo tiene insieme, a prescindere dalle differenze esistenti tra singoli armeni. Questa unità li rende forti, anche davanti ai grandi mali che minacciano la loro distruzione.

Ora l’Occidente affronta i suoi stessi mali. I recenti attacchi terroristici di Manchester e Londra che ci hanno scioccati e spaventati sono un’ulteriore prova di questo. Mentre fatichiamo a trattare con e rispondere a questi atti insondabili, ritengo che possiamo imparare molto dagli armeni. Hanno la forza e la saggezza di agire prendendo le mosse dalla loro cultura e storia. Quando devono combattere il male, guardano al bene presente nel loro passato e con quella conoscenza si rivolgono a difendere il futuro. Penso che l’Occidente abbia perso di vista sia la sua cultura che la sua storia. Io amo gli ideali sui quali è stata costruita l’America, ma sono orripilata dall’opinione prevalente tra gli americani che cerca di smantellare e distruggere ciò che un tempo ci ha resi orgogliosi. Dimenticando ciò in cui un tempo credevamo abbiamo anche perso la volontà di combattere, perché laddove manca una convinzione vera non può esserci un’azione chiara.

Se vogliamo veramente fronteggiare la minaccia al mondo occidentale dobbiamo voltarci verso il nostro passato e riunirci nella nostra storia comune. Non siamo così diversi dai nostri predecessori e di certo non siamo superiori. Come umani siamo tutti capaci di successi, così come di fallimenti. Ciò che di buono abbiamo in Occidente è stato costruito dai nostri predecessori e quel bene lo dobbiamo difendere per i nostri figli. Gli armeni capiscono bene questo ragionamento, avendo perso così tante persone del loro popolo, insieme a territori storici e siti culturali. Dovendo vivere a Stepanakert per i prossimi tre mesi, so che imparerò molto da queste persone e spero che comunicando la loro bontà e il loro coraggio, potrò ispirare l’Occidente ad investire su ciò che gli è proprio.

Stephanie Havens | Tempi.it


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