I fatti del Capodanno di Colonia sono ancora oggetto di discussione, a giusto titolo: perché non riguardano solo la Germania, e toccano temi che porteremo con noi a lungo.
(Stefano Allievi) Ricordiamo il dato si partenza: gruppi di immigrati, in parte profughi, si sono dati appuntamento per festeggiare il nuovo anno per strada, in gruppi aggressivi, infastidendo, insolentendo, derubando, palpeggiando e in un paio di casi purtroppo violentando molte donne che giravano sole o in piccoli gruppi.
Una ferita profonda
La ferita è profonda, e l’allarme giustificato: non solo per i fatti in sé, derubricati e sottovalutati, colpevolmente, anche dalla polizia tedesca, in quanto minori. Ma perché vanno a toccare le libertà di tutte (e di tutti, se non pensiamo che la violenza sulle donne sia un problema solo loro) di vivere pienamente quelle che sono conquiste recenti e quindi fragili: il diritto di girare per le proprie città anche di notte, di vivere senza paura di essere aggredite, insomma di godere pienamente delle proprie libertà. Che, lo sappiamo, è tuttora un problema più grave per le donne che per gli uomini, a prescindere dalle migrazioni.
Il ruolo delle religioni
Questo ci pone già un primo problema interpretativo. Chi ha usato l’argomento per riaprire l’ostilità con i musulmani finge di non accorgersi che non sono le religioni che spingono a questi comportamenti aberranti. Al contrario, le religioni dicono di non toccare le donne altrui, di rispettarle, di non violentare, di non bere alcol: e non è chi frequenta le moschee che invece si ubriaca, violenta, offende, ma precisamente chi non lo fa. E la cosa vale anche per le altre religioni: l’hinduismo e il sikhismo presente tra gli immigrati asiatici, ma anche il cristianesimo ortodosso degli slavi e quello cattolico e protestante dell’Europa occidentale, o l’ebraismo ortodosso. Il problema è che le religioni sono spesso inclini al patriarcalismo, e quindi possono essere usate, e lo sono, per giustificare il controllo delle donne da parte degli uomini. Ma né la Bibbia né il Corano né i Veda incoraggiano comportamenti aggressivi come quelli visti in Germania. Prova ne è che nessuno si è nascosto dietro a motivazioni religiose per giustificarli: anche se non mancano imam, ma anche sacerdoti di altri culti, che giustificherebbero politiche di rigore nei confronti delle donne, considerandole sottomesse ai padri e ai mariti.
Religioni e diritti delle donne
Di fatto, quando si è trattato di diritti delle donne, le religioni sono sempre state sulla difensiva, e li hanno subìti anziché incoraggiati (si pensi anche alla storia italiana, relativamente al delitto d’onore, che trovava oscure complicità nel cattolicesimo meridionale, al divorzio, all’aborto, alle politiche di controllo delle nascite, ma in passato anche al diritto di voto alle donne o al loro ingresso nel mercato del lavoro). L’argomento culturalista è inoltre pericoloso: gli italiani godono di un triste primato mondiale in termini di turismo sessuale (in Thailandia, a Cuba o al carnevale di Rio, dove sono il gruppo nazionale maggiormente presente dopo gli statunitensi, non crediamo per amore del samba); se in questi paesi ci accusassero di questi comportamenti in quanto cattolici, come reagiremmo? Eppure è lo stesso argomento che stiamo usando ora nei confronti dell’islam, dopo Colonia…
Accuse già sentite
Anche il legame con l’immigrazione va approfondito. Certo, erano immigrati ad avere questi comportamenti, ma le variabili in gioco sono molte: livello di istruzione, classe sociale, provenienza da zone rurali o urbane, religione e cultura d’origine, provenienza etnica e geografica – e sesso (le donne immigrate o musulmane di Germania sono certamente solidali con le vittime, non con gli aggressori). Ed è un dato storico: tanto è vero che proprio l’atteggiamento rispetto alle donne, considerato primitivo, incivile, maschilista, ha caratterizzato in passato il pregiudizio contro gli emigranti italiani nell’Europa centro-settentrionale e negli Stati Uniti, ma anche il pregiudizio del nord contro l’immigrazione dal sud Italia, e oggi quello europeo nei confronti del mondo arabo.
Il machismo diffuso
Il problema è quindi il livello di integrazione, la capacità di assorbire conquiste per noi oggi acquisite, il tempo necessario per farlo. E l’ostacolo qui non è la religione (se fosse così, sarebbe facile circoscriverlo), e nemmeno l’immigrazione, ma è assai più profondo: è il machismo ancora tremendamente diffuso, soprattutto quando il maschio non è solo e diventa gruppo esaltato, branco incattivito. Lo vediamo ancora, purtroppo, nelle nostre scuole, nelle discoteche, nelle feste private, specie dopo che è girato un po’ di alcol o d’altro. È ancora più grave laddove ci sono forti concentrazioni di maschi giovani, senza famiglia, senza lavoro e con molto tempo libero. Un problema antropologico più profondo, quindi: l’idea che le donne siano proprietà degli uomini e loro preda. Che – vogliamo dircelo? – è legato anche alla facile disponibilità di pornografia, che questa idea ripropone.
Riformulare il patto sociale
Non c’è dubbio che in questi ultimi quarant’anni l’occidente abbia fatto passi da gigante su questi temi. E non c’è dubbio che altrove si sia più indietro: i processi che abbiamo vissuto – istruzione delle ragazze, ingresso delle donne nel mercato del lavoro, innalzamento dell’età del matrimonio, innalzamento dell’età del primo figlio, diminuzione del numero di figli – che sono stati determinanti, insieme al riconoscimento legislativo della parità dei diritti, altrove sono appena cominciati. L’immigrazione ha l’effetto di aiutare ad accelerarli, peraltro. Il problema è lì, e servirà più istruzione e più integrazione culturale, non meno, per renderli ancora più rapidi. Perché è intorno alla questione femminile come dato culturale centrale che dovrà trovare riformulazione il patto sociale nelle società a pluralismo culturale e religioso avanzato. (Colonia e la piaga del machismo, in “Corriere della sera – Corriere del Veneto”, 10 gennaio 2016)
da: Voceevangelica
Ti è piaciuto l'articolo? Sostienici con un "Mi Piace" qui sotto nella nostra pagina Facebook