Scontro sui provider a rischio sfruttamento sessuale

Google e altre grandi aziende dell’online si stanno opponendo a un’importante modifica normativa presentata in entrambi i rami del Congresso americano, che ha il fine di sanzionare quei provider che favoriscono lo sfruttamento sessuale di bambini e adolescenti e il traffico sessuale in genere.
Il progetto di legge 1865, presentato alla Camera dalla repubblicana Ann Wagner, e il quasi omologo testo 1693 del senatore repubblicano Rob Portman intendono emendare la Sezione 230 di quello che è noto come Communication Decency Act del 1996, per chiarire che le piattaforme web e i provider sono responsabili – e quindi passibili di sanzioni – quando veicolano con astuzia o imprudenza materiale illecito di terzi. Specialmente quando si tratta di contenuti a sfondo sessuale e che riguardano minori, rispetto a cui finora i fornitori di servizi online hanno goduto di una sostanziale immunità.
Per giustificare l’opposizione a un progetto di legge che appare del tutto sensato, la strategia di Google consiste nel sostenere che il testo limiterebbe la libertà di espressione e “danneggia seriamente l’ecosistema di Internet”. Argomentazioni che vista la portata limitata e specifica delle modifiche, ossia proteggere le vittime di traffici sessuali e in particolare i minori, sono risibili, ma alla luce dei mezzi a disposizione del colosso di Mountain View e della cosiddetta tech lobby non c’è da stupirsi se molti finiscono per cascarci.
Nelle settimane precedenti gli avvocati di Google si sono incontrati con il legale di Backpage.com per studiare insieme come fare ostruzionismo alla proposta di modifica della Sezione 230 e come evitare cause intentate a nome di minori vittime di traffico sessuale. La collaborazione con Backpage in questo ambito non è casuale, perché si tratta di un sito di inserzioni che trae gran parte del suo guadagno dagli annunci a carattere sessuale.
Secondo un report pubblicato a gennaio da una sottocommissione del Senato, Backpage ha tratto profitto dalla vendita per fini sessuali di minorenni (tra i casi segnalati figurano anche dodicenni), spesso cambiando il testo delle inserzioni per nascondere la minore età e ostacolando le richieste di rimozione di foto esplicite. Come si legge in quel report, secondo le dichiarazioni della senatrice democratica Claire McCaskill, “Backpage è una compagnia da 600 milioni di dollari costruita sulla vendita di sesso e, significativamente, sulla vendita di sesso con bambini. E la compagnia lo sa”.
La senatrice ha spiegato qual è la policy di Backpage quando si tratta di rimuovere inserzioni su minori. “Secondo i suoi documenti interni, Backpage dà la priorità alla revisione di un’inserzione per sfruttamento di bambini quando una persona o un familiare prossimo afferma di essere a rischio”. Le richieste di rimozione provenienti da zii o nonni non sono sufficienti e l’esito di queste direttive interne, come riferisce sempre la McCaskill, è sconcertante: “Adesso sappiamo, come risultato della nostra battaglia legale basata sui loro stessi file, che loro [Backpage] non hanno rimosso le inserzioni dove si vendono bambini.
Hanno solo cercato di renderle meno ovvie e, peggio, hanno istruito i trafficanti e gli sfruttatori su come ripulire le inserzioni, senza eliminare il loro business”. Secondo il report, Backpage ha insomma incoraggiato operazioni di maquillage linguistico, eliminando i termini sessuali più espliciti, ma mantenendo le inserzioni e le foto di minori. In questo quadro si capisce che appellarsi alla libertà di espressione, come fa Google d’accordo con Backpage per screditare quelle modifiche normative, è un esercizio di arrampicata sugli specchi in formato olimpico.
Backpage è finora uscita indenne dalle accuse di sfruttamento della prostituzione perché i giudici hanno avvalorato un’interpretazione estensiva e contraria all’intento originario del Communication Decency Act (già in parte svuotato di senso nel 1997 da una sentenza della Corte Suprema che avvalorò la linea libertina dell’Aclu, una lobby che di fatto si oppone in toto alla morale cristiana e sostiene la libertà di detenere materiale pedopornografico), assicurando l’immunità dei portali che pubblicano annunci di terzi.
E ciò nonostante qui appaia chiaro che il provider non solo conosce bene la tipologia di annunci pubblicati sul proprio sito e da cui trae la gran parte dei propri profitti, ma collabora attivamente con gli inserzionisti alimentandone il traffico illecito. “Le grandi compagnie tecnologiche stanno lottando disperatamente per proteggere i loro bilanci”, ha detto al Friday Fax la parlamentare Wagner.
La proposta di modificare la Sezione 230 per contrastare gli abusi è appoggiata da oltre sessanta tra organizzazioni e familiari di bambini e adolescenti vittime di sfruttamento sessuale, che in risposta all’interferenza di Google e di altri grandi nomi della Silicon Valley hanno scritto in un comunicato che “l’opposizione a ogni tentativo di modificare leggermente la Sezione 230 non è guidata da preoccupazioni sulla libertà di espressione; è guidata dalla stessa motivazione che spinge compagnie come Backpage a facilitare il traffico sessuale: il profitto. […] Perché queste azioni sono permesse e protette online quando sono considerate atti criminali offline?”.
Austin Ruse, uno dei firmatari del comunicato e presidente dell’organizzazione pro family C-Fam, ha scritto anche una lettera aperta ai membri del Congresso per spiegare la necessità di modificare la legge: “Non sconfiggeremo mai i trafficanti del sesso fino a quando Backpage.com, Google e altre piattaforme web potranno evitare ogni responsabilità per condotte che loro da sole possono efficacemente controllare. Per anni hanno fatto poco o nulla per migliaia di bambini, caduti preda di trafficanti che usano le loro piattaforme web. Questo va fermato adesso”.
Un paio di considerazioni per concludere. Posto che ogni abuso, ancor più sui minori, è inaccettabile e va combattuto, sarebbe auspicabile che i governanti e i grandi media – a partire da quelli che speculano su ogni accusa riguardante certi uomini di Chiesa anche quando si tratta di rapporti pubblicati a orologeria, con i principali responsabili morti da decenni (e tacendo sul fatto che proprio la Chiesa ha prodotto in materia le norme e i documenti più severi al mondo, particolarmente sotto il pontificato di Benedetto XVI) – si impegnassero nella denuncia di queste condotte messe in atto da alcune grandi aziende dell’online, iniziando a spiegare la cultura sottostante che le rafforza.
Un auspicio che in realtà è una pia illusione. Finora abbiamo infatti assistito all’inverso, con lo svilimento del pudore e la celebrazione di una cultura della libertà sessuale senza limiti (sganciata dal significato autentico del sesso come impegno e dono reciproco, aperto alla vita), che sfocia nell’ideologia gender e nella sessualizzazione precoce dei bambini, facendo il gioco dei gruppi che spingono per la legalizzazione della pedofilia, spesso attraverso la tappa intermedia dell’abbassamento dell’età del consenso.
I controversi programmi di educazione sessuale promossi dall’Oms e le leggi sui cosiddetti “diritti sessuali” dei bambini come quella avanzata di recente in Canada non fanno altro che andare in questa direzione. E chi sostiene anche solo culturalmente queste derive, o ha il potere per smascherarle e non lo fa, diventa complice delle violenze compiute su tanti bambini e adolescenti.

di Ermes Dovico | Lanuovabq.it


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