Sta facendo discutere la decisione del giudice minorile di sottrarre subito dopo la nascita il piccolo Achille alla madre, la bocconiana 23enne Martina Levato, condannata in primo grado insieme all’amante a 14 anni di reclusione per avere sfigurato il 22enne Pietro Barbini.
E si continua a discutere anche dopo la decisione di ieri sera del giudice minorile di concedere a Martina Levato di vedere suo figlio una volta al giorno alla presenza di operatori sanitari, mentre è avviata contla pratica di adottabilità.
Come l’opinione pubblica si divide tra innocentisti e colpevolisti nei casi di processi indiziari, qui la divisione è tra chi approva la decisione del giudice minorile di sottrarre il bambino alla madre subito dopo la nascita ed un’agguerrita pattuglia di contrari che ritengono sarebbe stato meglio non privare il bambino della madre. La giornalista Daniela Monti sembra essere tra questi; sul sito del Corriere della Sera ha scritto: «Siamo davvero sicuri che, sottraendolo così in fretta all’abbraccio della madre – una donna “indegna”, certo – siano stati rispettati i diritti di quel bambino? […] a quel bambino abbiamo già tolto il diritto al primo sguardo materno, alla prima poppata, al primo rapporto esclusivo – visivo, gestuale, di nutrimento – con la madre su cui tanti studi insistono, rintracciando proprio in quei primi istanti amorevoli le basi per un corretto equilibrio psichico e relazionale».
Era giusto comportarsi così? Incertae previdentiae nostrae recita il Libro della Sapienza. Sì, le nostre previsioni sono incerte, così come lo saranno state quelle del magistrato Annamaria Fiorillo che ha deciso temporaneamente per la separazione immediata. Subito dopo il cesareo la madre ha avuto con sé il bambino per pochi minuti. I nonni materni hanno potuto vederlo, tuttavia il padre di Martina ha definito la decisione del giudice «una crudeltà atroce». Immaginiamo il dolore di queste persone: una figlia che credevano una studentessa modello si ritrova in carcere condannata ad una pesante pena per un orribile delitto, il nipotino rischia di finire in un’altra famiglia o di trascorrere i primi anni di vita in galera con la madre, il padre del bambino, già sposato con un’altra donna, è anch’egli in prigione per lo stesso delitto.
Tuttavia la questione va riportata all’elemento centrale: il superiore interesse del bambino, colui che è sicuramente innocente. Se non vi è dubbio che il piccolo Achille abbia diritto alla madre, non vi è altrettanto dubbio che questo significa che egli ha diritto all’amore della madre, che si esprime in cura, dedizione, esempio di vita, in vivere per il bene dell’altro. Può Martina Levato assicurare non l’intenzione, ma l’attuazione dell’amore materno a suo figlio? Le cronache giudiziarie riferiscono di premeditazione, insensibilità, promiscuità sessuale, di atti di scorticazione e di bruciature della pelle, di tentativi di evirazione che avrebbero interessato la giovane madre. Elementi che rendono più che leciti i dubbi sulla salute mentale della donna.
Li ha esternati persino l’avvocato difensore quando, letta la sentenza ha detto che «La questione principale è la capacità di intendere e di volere di Martina Levato, ci sono problemi seri che devono essere analizzati attraverso un lungo percorso di cura». (Il Fatto Quotidiano, 11 giugno 2015).
Certamente coloro che non conoscono direttamente i protagonisti, i particolari, le circostanze di vita passate, presenti e quelle prevedibili nel futuro, (e chi scrive è tra questi) non possono esprimersi e quindi, attingendo da Wittgenstein anch’io dico «su ciò, di cui non si può dire, si deve tacere».
Alcune considerazioni che esulano da questo caso mi pare comunque si possano svolgere. Togliere il seno materno al neonato è togliere un bene e una sottrazione di bene è certamente un male. Tuttavia è classico insegnamento della morale cattolica che a precise condizioni, compiendo un bene talora si possa accettare anche un male inscindibilmente connesso al nostro agire, previsto, ma non voluto (è la dottrina del duplice effetto di cui la legittima difesa e la rimozione dell’utero canceroso di una donna incinta sono tradizionali esempi). In questo caso una serie di beni sono a rischio lasciando il bambino con la madre (clicca qui): l’incolumità, il libero movimento, il gioco, l’apprendimento del bambino, il suo equilibrio psicologico.
L’avvocato di Martina dice che dopo la separazione dal figlio la sua cliente è disperata. Un sentimento comprensibile, ma che non necessariamente è attestazione di amore. Desiderare il figlio non significa avere diritto al figlio. I figli hanno la dignità di persona; sono un dono, non una proprietà, un bene incommensurabile da custodire, non un prodotto di cui servirsi. Se dunque amare vuole dire volere il bene dell’altro, allora il bene talora non lo si dimostra col possesso, ma con la rinuncia; non tenendo, ma lasciando; non avendo, ma donando. Dal sacrificio della rinuncia al proprio figlio pur di salvarlo, il saggio re Salomone seppe distinguere la vera dalla falsa madre.
Giungiamo così ad un punto sensibile che consiste nella sorprendente attenzione riservata al diritto del bambino di non essere tolto alla madre da parte di media tradizionalmente ostili a dedicare una simile attenzione quando lo stesso diritto viene programmaticamente violato attraverso le procedure di fecondazione eterologa con utero in affitto da parte di coppie committenti. Per quali motivi per gli attori, i cantanti, i politici, gli attivisti che attraverso il passaggio di denaro si garantiscono il diritto legale a fare la stessa cosa decisa dal Pubblico Ministero minorile per il piccolo Achille, non affiora mai alcun dubbio, la minima critica, la più piccola perplessità sulla moralità di strappare il bambino alla donna che l’ha portato in grembo per nove mesi?
La giornalista Manuela Campitelli sul sito del Fatto Quotidiano afferma che per il piccolo Achille «c’è una storia che pesa sulle spalle di un bambino appena nato e che qualcuno sta riscrivendo per lui, ma non è detto nel modo migliore». Concordo in pieno. Nello stesso intervento, piacevolmente inatteso è giunto l’utilizzo dell’espressione «diritto naturale». Io spero che quello stesso “diritto naturale”invocato oggi per il piccolo Achille non venga negletto quando si occuperanno dei piccoli Zachary ed Elijah Furnish-John, i “figli” del cantante britannico gay Elton John, strappati alla madre con la forza del denaro, sfruttando il bisogno economico di una donna. E da un “padre” poi che si permette d’insultare il sindaco di Venezia per la “colpa” di promuovere nelle scuole della sua città proprio il diritto naturale dei bambini a crescere col padre e la madre.
Io spero che il “diritto naturale” sia riconsiderato nelle didascalie delle foto promozionali delle unioni gay, dove i bambini sono sottratti a madri incensurate ed esposti come trofei. Io spero che sia ricordato anche quando dovranno commentare la step-child adoption del ddl Cirinnà e del sodale senatore Lo Giudice che col compagno proprio all’utero in affitto sono ricorsi.
*Specialista in Psichiatria e Psicoterapia Sistemico-Relazionale
di Maria Cristina Del Poggetto*
da: Lanuovabq.it/
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