Ci sono vite che si fermano dopo le prime 24 ore e che potrebbero essere facilmente salvate. Sono circa 1 milione all’anno e non sorprende il dato se pensiamo che sono oltre 40 milioni le donne nel mondo che partoriscono senza alcuna assistenza specializzata. Sono questi alcuni dei dati raccolti in occasione del lancio mondiale il 25 febbraio scorso del rapporto “Ending Newborn Deaths” (.pdf) all’interno della campagna globale Every One voluta da Save the Children per coordinare Governi, grandi donatori e privati nello sviluppo di un piano globale per ridurre le morti neonatali già dal 2014.
Nell’ultimo decennio sono stati compiuti enormi passi avanti per contrastare la mortalità infantile che è passata da 12 milioni a 6,6 milioni, grazie a un intervento globale che ha visto come protagonisti l’accesso a nuovi farmaci, le vaccinazioni, i trattamenti per polmonite, diarrea e malaria, così come la pianificazione familiare e la lotta alla malnutrizione. “Ma questo percorso è ormai giunto ad una fase di stallo, se non si interviene immediatamente per contrastare la mortalità neonatale”, ha dichiarato Valerio Neri, direttore generale di Save the Children. E i dati che Ending Newborn Deaths racconta nelle sue 46 pagine non lasciano dubbi sulla proporzione del problema: “nei 6,6 milioni di bambini che ogni anno muoiono prima di aver compiuto 5 anni, quasi la metà, 2,9 milioni, sono quelli che hanno perso la vita nel periodo neonatale, entro cioè i primi 28 giorni dalla nascita. Tra questi, 1 milione di bambini muore nel primo giorno di vita, spesso il più pericoloso, a causa di nascite premature e complicazioni durante il parto, come ad esempio travaglio prolungato, pre-eclampsia ed infezioni e spesso perché le loro madri, circa 40 milioni ogni anno, partoriscono senza alcun aiuto qualificato o completamente sole”. Numeri elevatissimi che si sommano ad un altro milione e 200mila bambini che nascono già morti ogni anno “perché il loro cuore smette di battere già durante il travaglio”.
Come al solito il dato che non stupisce, ma allarma, è la forbice Nord-Sud. Se in Europa, infatti, solo 1 neonato su 1.000 muore nel periodo neonatale, in Africa o in alcune parti dell’Asia, il rapporto è almeno 5 volte tanto. “Il Pakistan con 40,7 decessi su 1.000 nati è il paese con il più alto tasso di neonati che muoiono il primo giorno o durante il travaglio, seguito dalla Nigeria e dalla Sierra Leone con rispettivamente 32,7 e 30,8 decessi su 1.000 bambini” ha detto l’ong. Il rapporto di Save the Children evidenzia come l’assistenza specializzata durante il travaglio e il parto con la tempestiva gestione delle complicazioni, da sola, potrebbe prevenire circa il 50% della mortalità neonatale e il 45% di bambini nati morti intra-partum. Nell’Africa Subsahariana, il 51% dei parti non è assistito e nell’Asia sudorientale la percentuale è del 41%. Per Save the Children “In Etiopia, ad esempio, solo il 10% delle nascite avvengono in presenza di personale specializzato, mentre in alcune aree rurali dell’Afghanistan c’è solo 1 ostetrica per 10.000 persone. In India, mentre il tasso di mortalità neonatale riferito al 20% più abbiente della popolazione è di 26 neonati morti ogni 1.000 nati, quello riferito ai più poveri è di 56 su 1.000. In paesi come la Repubblica Democratica del Congo e la Repubblica Centrafricana le madri devono pagare per le cure di emergenza legate al parto, che spesso hanno lo stesso costo del cibo per un mese”. In alcuni casi, alcune madri sono state trattenute fino a quando non sono state in grado di pagare per il loro taglio cesareo urgente.
“I nuovi dati diffusi da questo rapporto rivelano per la prima volta il reale impatto della mortalità neonatale”, ha continuato Neri. “Le soluzioni esistono e sono conosciute, ma c’è bisogno di una reale volontà politica per dare a questi bambini una possibilità di sopravvivere, che agisca innanzitutto sulle disuguaglianze. Senza azioni immediate e mirate, il percorso per abbattere la mortalità infantile non si arresterà”. Non è un’impresa impossibile. Il fatto che alcuni Paesi abbiano compiuto significativi miglioramenti nella riduzione della mortalità neonatale testimonia che esistono delle strade percorribili per arrestare questa strage silenziosa: “tra il 1990 e 2012, Egitto e Cina sono riusciti a registrare un declino delle morti neonatali del 60%, mentre in Cambogia, una delle nazioni più povere del mondo, si è avuto un decremento del 51%” ha assicurato Save the Children che ha ricordato che salvare ogni anno oltre 2 milioni di neonati e i 1,2 milioni di bambini che muoiono durante il travaglio è tutt’altro che impossibile. Come? “Basta impegnarsi affinché, entro il 2025, ogni nascita sia seguita da operatori sanitari formati ed equipaggiati che possano offrire interventi sanitari essenziali ai neonati e alle loro madri; aumentare la spesa destinata alla salute per arrivare all’obiettivo di almeno 60 dollari a persona (previsto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità); investire nella formazione, l’equipaggiamento e il sostegno gratuito di operatori sanitari e interventi ostetrici di emergenza; convincere il settore privato, comprese le società farmaceutiche, ad affrontare i bisogni insoddisfatti, sviluppando soluzioni innovative e aumentando la disponibilità di farmaci, per le madri, i neonati e i bambini più poveri”.
“Se ancora oggi il primo giorno della vita di un bambino è il più pericoloso – ha conclusoEva Riccobono, l’attrice che ha aderito, anche come futura mamma, alla campagna globale di Save the Children per combattere la mortalità infantile – sappiamo che molti di questi decessi potrebbero essere evitati se solo ci fosse qualcuno ad assicurare che la nascita avvenga in modo sicuro e che sappia cosa fare in caso di emergenza”. Ecco perché gli interventi di ong come Save the Children diventano fondamentali nella battaglia contro la mortalità infantile come racconta l’esperienza dell’ospedale di Gidole l’unico polo ospedaliero per decine di migliaia di persone che appartengono alle comunità del distretto di Konso, nel Sud dell’Etiopia. Fino a poco tempo fa, prima dell’intervento di Save the Children, in questo ospedale non esisteva un reparto di pediatria, ora il “Villaggio Salvamamme”, così ribattezzato proprio dalle mamme locali è una struttura all’interno dell’ospedale dedicata ad accogliere le donne con gravidanze a rischio, capace di fare la sua parte per contrastare la criticità di quelle prime 24 ore.
Alessandro Graziadei
Fonte: http://www.unimondo.org/
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