Roma con l’acqua razionata. Otto ore di stop dei rubinetti a zone alterne. Nemmeno ospedali e pompieri saranno risparmiati e parliamo di un caldo fine luglio. Sono scene da panico, da tempo di guerra, pur essendo nella capitale italiana, in tempo di pace, nel 2017. L’annuncio è stato dato dall’Acea, la società che gestisce la rete idrica della città eterna. A parlare di emergenza è il governatore del Lazio, Nicola Zingaretti: “l’acqua sta finendo”. Ed è subito scambio di accuse fra l’Acea e la Regione Lazio, con il sindaco di Roma, la pentastellata Virginia Raggi, che assiste, apparentemente senza avere soluzioni alternative, accusata dall’opposizione di immobilismo.
Roma senza acqua. Per il governatore Zingaretti, del Pd (ed ex Pci), la colpa è del riscaldamento globale. La quantità stagionale di pioggia è cinque volte più bassa della media, il lago di Bracciano, una delle principali fonti idriche, si sta prosciugando: il livello è sceso di 90 cm. La colpa è di… Donald Trump, naturalmente. Lo dice lo stesso governatore della Regione ai microfoni di TgCom 24: “Basta andare con una fotocamera a Bracciano per capire che sta accadendo l’inimmaginabile. Far uscire l’acqua dai rubinetti è un diritto ma dobbiamo fare i conti con un problema enorme che è la siccità. Mi piacerebbe invitare qui Donald Trump per fargli capire cosa significa non rispettare gli accordi sul clima”. A La Repubblica (https://video.repubblica.it/edizione/roma/bracciano-saccani-acea–l-acqua-c-e-l-emergenza-a-roma-la-crea-l-ordinanza-di-zingaretti/281498/282093 ), però, risponde anche il presidente di Acea, Paolo Saccani: l’emergenza per ora non c’è, ma ci sarà e sarà causata dal razionamento dell’acqua, in piena estate, nell’area urbana più popolosa d’Italia. Quella del razionamento è “una ordinanza che riteniamo illegittima, abnorme. E le dirò, anche: sostanzialmente inutile”, perché la quantità di acqua prelevata da Acea non cambia sensibilmente la riduzione del livello del lago. “Il presidente della Regione – dice Saccani – ci faccia sapere in base a quali studi ha preso questa decisione. A Roma non c’è nessuna emergenza, la creerà il fatto di sospendere l’erogazione”.
L’Acea stessa comunque è sotto accusa. La società, che al 51% è di proprietà del Comune di Roma, ha acquedotti che perdono mediamente il 45% dell’acqua trasportata. In peggioramento rispetto al 2011 (anno del referendum sulla privatizzazione della gestione dell’acqua) quando la dispersione media si assestava attorno al 40%. “Noi l’acqua non la fabbrichiamo – spiega il suo presidente Saccani – Le soluzioni strutturali le abbiamo proposte alla Regione Lazio con una mia lettera del 4 luglio. Il problema delle perdite c’è, non lo neghiamo. Sono un male nazionale, non di Acea. L’azienda su mandato dei sindaci ha investito negli anni scorsi in fognatura e depurazione perché lì era l’emergenza, non è una responsabilità di Acea”. Sarà…
All’epoca imperiale la quantità di acqua disponibile era 4 volte quella attuale, in percentuale. Frontino, prefetto delle acque all’epoca dell’imperatore Nerva, descrive il sistema idrico della sua epoca, estremamente all’avanguardia, unico in tutto il mondo. Gli enormi acquedotti sono uno dei lasciti più vistosi dell’antica gloria. Come si è arrivati, in duemila anni, a dover razionare l’acqua? Prima di tutto, le strutture odierne sono obsolete. L’ultima iniziativa importante fu la costruzione dell’acquedotto del Peschiera, con la sua fontana di arrivo a Piazza degli Eroi. Anno 1950. Lo spreco, l’inefficienza della rete, le perdite stimate attorno al 45% (vuol dire che ai rubinetti ne arriva solo la metà, o poco più) si spiegano anche con l’obsolescenza delle strutture. Ma non solo: è venuto a mancare un generale piano di adeguamento. La Roma imperiale aveva un milione di abitanti e la sua rete idrica bastava per tutti. Oggi le fonti idriche e la rete sono tarate all’incirca per lo stesso numero di abitanti, ma nell’area urbana servita ci sono 4 milioni di abitanti da dissetare. L’Acea non ha mai ampliato la disponibilità negli anni in cui il suo bacino d’utenza aumentava. Ha investito nella telefonia (Wind) e nell’energia (in joint venture con la belga Electrabel), con operazioni finanziarie non sempre di successo. Ma la sua mission principale è rimasta indietro.
Poi c’è un altro problema, che non riguarda solo Roma e il Lazio, ma tutto il paese. Il 70% dell’acqua disponibile viene usata per l’agricoltura praticamente a costo zero. E di quel 70% usato per l’agricoltura, il 60% è sprecato. Nessuno ha finora messo in campo tecnologie di irrigazione che permettano di risparmiare acqua, su larga scala. Come è stato fatto in Israele, per esempio, paese con un’agricoltura all’avanguardia pur avendo una disponibilità di acqua molto inferiore a quella italiana.
La malagestione dell’acqua in Italia, deriva dalla mancata applicazione della legge Galli del 1996, che stabiliva l’industrializzazione dei servizi idrici. Chi ha votato per difendere la gestione pubblica dell’acqua, nel 2011, forse non si è reso conto che l’acqua è indiscutibilmente un bene pubblico e sarebbe rimasto tale, ma ha ottenuto l’unico risultato che la sua gestione resti monopolio di aziende municipalizzate, spesso inadeguate, non competitive, non all’altezza del compito. Donald Trump può anche recarsi al lago di Bracciano. Non ne trarrebbe alcuna lezione utile per le politiche sul global warming, piuttosto forse potrebbe darci, da imprenditore, buoni consigli su come rendere Roma ancora grande.
di Stefano Magni | Notiziecristiane.com
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