L’ideologia di genere sta penetrando nella nostra società come un coltello nel burro: trascurando alcune preoccupazioni (chiamarle allarmi sarebbe esagerato) sollevate dai soliti cristiani, il comune sentire pare accettare questa “rivoluzione antropologica” .
Eppure qualche segnale dovrebbe indurre a maggior prudenza. Alla vigilia dell’8 marzo di quest’anno l’Agenzia dell’Unione Europea per i Diritti Fondamentali ha presentato al Parlamento Europeo una ricerca (leggi qui) condotta intervistando 42.000 donne dei 28 stati membri dell’Unione Europea sulla violenza di genere. Gli esiti sono stati a dir poco paradossali. I paesi nei quali l’ideologia di genere è ormai il pensiero unico istituzionale sono infatti quelli nei quali la violenza di genere è più frequente: in Danimarca il 52% delle donne ha dichiarato di aver subito violenze; in Finlandia il 47%, in Svezia il 46%, in Olanda il 45%, in Francia e nel Regno Unito il 44%. Nei paesi dove l’ideologia di genere non è ancora pienamente affermata le percentuali sono le seguenti: Italia 27%, Irlanda 26%, Grecia 25%, Portogallo 24%, Spagna 22%; fanalino di coda la Polonia, con il 19%.
Cosa pensare di questi dati? Si potrebbe ipotizzare che, negli avanzati paesi del nord Europa, le donne abbiano una percezione diversa della violenza sessuale rispetto alle donne dei soliti paesi cattolici o mediterranei (ricordiamo che Julian Assange è stato denunciato per violenza sessuale per non aver voluto indossare il preservativo durante un rapporto consensuale); implicitamente, però, bisognerebbe dare per scontato che l’ideologia di genere contrasta le violenze sulle donne, che è ciò che la ricerca si proponeva di dimostrare (era dunque il punto di arrivo, non quello di partenza).
Blanca Tapia, portavoce dell’Agenzia dell’Unione Europea per i Diritti Fondamentali, lega queste cifre alla diffusione dell’alcolismo. A parte che in Irlanda e in Polonia non è particolarmente diffusa l’astemia, bisognerebbe chiedersi non solo se la correlazione implica un rapporto causa-effetto (difficile da credersi per la portata del fenomeno), ma anche come mai nei paradisi dei nuovi diritti la gente ha così tanto bisogno di stordirsi. Non dovrebbero essere tutti felici? Gli stessi dati sono confermati da un rapporto di Amnesty International del 2010 (leggi qui) sullo spaventoso numero di violenze sessuali nei paesi nordici, che recitava: «I paesi nordici – Danimarca, Finlandia, Norvegia e Svezia – sono spesso citati per lodare la parità di genere. Le richieste dei movimenti delle donne hanno spianato la strada per la partecipazione delle donne in tutti i settori della società. I governi di questi paesi hanno da tempo focalizzato l’attenzione sulle pari opportunità per donne e uomini nella vita pubblica, il lavoro, istruzione, partecipazione politica, la rappresentanza e la leadership. Nonostante ciò, la violenza continua contro le donne è la prova delle relazioni di potere diseguali tra uomini e donne che ancora prevalere in tutti i paesi nordici». Il fenomeno è evidente, eclatante; ma il dogma per cui la violenza contro le donne sarebbe la conseguenza di “relazioni di potere diseguali tra uomini e donne” pare inscalfibile.
Possiamo avanzare una ipotesi impensabile, assurda, pazzesca? E se la causa di tale enorme numero di violenze sessuali fosse proprio la diffusione dell’ideologia di genere? Se la superiorità fisica dell’uomo, non più al servizio della donna, si fosse rivolta contro quest’ultima? Se la forza virile, deplorata e riprovata, fosse in realtà un antidoto alla violenza? Se, nonostante le campagne mediatiche, gli uomini fossero realmente più aggressivi delle donne; e questa aggressività, non più normata da codici etici ma semplicemente cancellata con un tratto di penna, fosse ineliminabile e resa solamente latente, clandestina, selvaggia? Scatta automatico il ricordo di quanto diceva san Tommaso a proposito delle passioni umane. Le passioni sono come un fiume: è più opportuno costruire degli argini per condurre l’acqua dove è utile (temperanza) piuttosto che bloccarne il corso con una diga (continenza)… Se l’ideologia di genere fosse sbagliata, se uomini e donne fossero realmente diversi, se gli uomini fossero davvero più aggressivi delle donne; non sarebbe meglio regolamentare questa aggressività con un codice etico, porla al servizio delle donne con dei semplici gesti (pagare al ristorante, aprire la portiera dell’auto, aiutare la donna ad accomodarsi sulla sedia) piuttosto che fingere che questa aggressività non esista, che sia solo una favola tramandata per conservare una presunta (ripeto: presunta) superiorità?
Cambiamo argomento, pescando ancora tra quelli maggiormente dibattuti sui media. Pensiamo ora al bullismo. Qualunque “esperto” può confermare che il bullismo è un fenomeno relazionale, che necessità cioè di due attori: il bullo e la vittima di bullismo. Ciò significa che se manca uno dei due non può esistere il bullismo. Proviamo ad immaginare (siamo sempre nel campo dei pensieri mostruosamente proibiti) che il dilagare del fenomeno non sia dovuto all’aumento di bulli, cioè di ragazzini dominanti, aggressivi e violenti; quanto piuttosto all’aumento di vittime, cioè di ragazzini timorosi, particolarmente sensibili, con scarsa autostima, insicuri, fisicamente deboli, che hanno paura di farsi male, incapaci nell’attività sportiva e con poco coordinamento corporeo? Cioè ragazzini ai quali mancano quelle caratteristiche (forza, determinazione, sicurezza…) proibite agli uomini secondo l’ideologia di genere?
Ancora: il bullismo non riguarda solo il bullo e la vittima, ma tutto il gruppo (o la classe) che assiste ai soprusi senza intervenire, magari contento che tocchi alla vittima e non a loro. Ebbene: per secoli la nostra cultura ha deplorato questo atteggiamento pavido e pusillanime, educando i ragazzi ad opporsi alle ingiustizie e ad essere coraggiosi, indicando loro come modello l’eroe, disposto a sacrificare se stesso a favore dei deboli opponendosi al malvagio e all’ingiusto. Ora, invece, chiedere ad un bambino di essere «sicuro, coraggioso, serio, orgoglioso, onesto, ambizioso, […] avventuroso, autoritario, generoso, […] fiero, duro, […] virtuoso, tronfio, saggio, deciso, audace, libero», invece di «affettuoso, apprensivo, […] premuroso, paziente, buono, tenero, […] servizievole, comprensivo, docile, delizioso, delicato, […] dolce» è «educazione sessista» (Irene Biemmi, Educazione sessista. Stereotipi di genere nei libri delle elementari, Rosenberg & Sellier, Torino 2010).
La domanda (ripeto: mostruosamente proibita) è dunque questa: se il bullismo e le “violenze di genere” fossero una conseguenza imprevista ed indesiderata dell’ideologia di genere? Una sorta di “eterogenesi dei fini” che sembra caratterizzare ogni rivoluzione, forse anche quella antropologica in atto.
di Roberto Marchesini
Fonte: http://www.lanuovabq.it/
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