La Bibbia e la questione della bestemmia: spesso il bestemmiatore è colui che scaglia l’accusa di blasfemia. (Jérôme Cottin) Quando un’opera d’arte, un disegno, una pubblicità sciocca o disturba viene subito definita “blasfema”, considerata una “bestemmia”. Questa parola ha una evidente connotazione religiosa e pone il denunciatore – spesso legato a movimenti religiosi estremisti – dalla parte di Dio (o così egli crede). È interessante ricordare che il Nuovo Testamento ha reso obsoleta la nozione di bestemmia – Gesù infatti è morto come bestemmiatore – usandola in modo nuovo: il “bestemmiatore”, ammesso che tale nozione abbia un senso, non è in generale chi viene denunciato come tale, ma il denunciatore stesso.
Una parola imprecisa
La nozione di bestemmia è tanto soggettiva quanto imprecisa, come attesta questa doppia definizione del dizionario francese “Petit Robert” secondo cui essa sarebbe una “parola che oltraggia la divinità, la religione”, ma anche una “espressione inopportuna o oltraggiosa per una persona o una cosa considerata quasi sacra”.
Possiamo dunque dire che chi bestemmia è sempre l’altro perché le sue parole sono giudicate in base a un sistema di rappresentazioni condiviso soltanto dalle persone che fanno riferimento ai medesimi valori del denunciatore. L’accusa di bestemmia postula che tutti debbano pensare, credere o agire nello stesso modo. Essa è non solo un modo di rifiutare l’altro, ma anche di rifiutare Dio o determinati valori umani ideali, come la giustizia, la pace, la solidarietà.
Rovesciamento di prospettiva
Le posizioni potrebbero essere invertite: il “bestemmiatore” è il testimone di una verità trascendente, di una parola autentica su Dio o sull’Umano, mentre i suoi accusatori sono i veri “bestemmiatori”, i quali, imponendo come normative le proprie idee, esercitano una violenza simbolica contro l’umanità e contro il Dio che pretendono di difendere.
Vorrei illustrare questa inversione dei valori (la “bestemmia” come atto di fede e, al contrario, l’accusa di blasfemia come tradimento dei valori umani e spirituali) esaminando che cosa dicono al riguardo i testi biblici.
Una religione del perdono
La parola bestemmia, con i suoi derivati, ricorre nel Nuovo Testamento, ma solo in rari casi [i termini greci “blasphémeo”, “blasphemia”, “blasphemos”]. È utilizzata soltanto una volta da Gesù (Matteo 12,31-32) [e i testi paralleli di Marco 3,28s. e Luca 12,10], precisamente per dire che il peccato in generale e la bestemmia in particolare sono perdonati: “Perciò io vi dico: ogni peccato e bestemmia sarà perdonata agli uomini (…). A chiunque parli contro il Figlio dell’uomo sarà perdonato”. Gesù instaura un ordine nuovo, in rottura con il legalismo ebraico; è l’ordine del perdono, che applica contro sé stesso: ogni attacco contro la sua persona (poiché è il Figlio dell’uomo) sarà perdonato.
Gesù e la bestemmia
Si obietterà che Gesù ha accompagnato questa frase con una restrizione: “ma la bestemmia contro lo Spirito non sarà perdonata”. Bisogna comprendere questa frase in funzione del contesto immediato (Matteo 12,22-30), in cui Gesù è stato accusato di guarire malati e scacciare demoni mediante le potenze del male (“Belzebú”): ciò che non merita il perdono è ritenere che Dio faccia un patto con il male, con le forze oscure che combatte.
Gesù rispetta peraltro il divieto ebraico in base al quale bisogna rispettare l’alterità e il mistero di Dio (non bisogna rappresentarlo). Dopo la rottura, la continuità: Gesù si situa qui nella linea dell’ebraismo biblico, per il quale se c’è un divieto biblico che non ammette alcuna eccezione è quello concernente il Nome di Dio, che non deve essere invocato “per ingannare” o “per fare del male” (è il terzo comandamento del Decalogo) [Esodo 20,7 e Deuteronomio 5,11]. Nel pensiero biblico pronunciare il nome di Dio è voler far presa sulla sua persona, è fare dell’invocazione di Dio un atto magico.
Si arriva a una duplice conclusione: la prima, che non può esserci bestemmia finché Dio è rispettato nella sua grandezza e nel suo mistero; la seconda, che in Gesù non vi è più bestemmia possibile poiché tutto è perdonato. Egli prende su di sé e si assume totalmente le parole che possono essere dette e i gesti che possono essere fatti contro di lui.
Gesù denunciato come bestemmiatore
Nei Vangeli Gesù viene attaccato e denunciato come bestemmiatore. Mediante un sottile ribaltamento, l’epiteto di bestemmiatore applicato a Gesù ci viene presentato dai redattori dei Vangeli come un segno della sua divinità: il fatto che lo si accusi di essere un bestemmiatore lo denota sub contrario come il vero Dio. In Luca 5,21 [e nei testi paralleli di Matteo 9,1-8 e Marco 2,1-12] gli oppositori di Gesù (gli scribi e i farisei) scoppiano a ridere: “Chi è costui che bestemmia? Chi può perdonare i peccati se non Dio solo?” Il contesto di questo alterco, così come la risposta di Gesù, sono molto illuminanti: la bestemmia di Gesù consisteva nel fatto che aveva guarito un paralitico perdonandogli i peccati. A scioccare i suoi oppositori è il fatto che Gesù abbia pronunciato una parola riservata a Dio: perdonare i peccati.
Diverse visioni di Dio
Vediamo qui fino a che punto la nozione di bestemmia sia soggettiva, se non vana, perché una medesima parola e un medesimo gesto sono ricevuti, dagli uni, come testimonianza dell’azione di Dio, e dagli altri come grave offesa contro Dio. L’atto “blasfemo” compiuto da Gesù guarisce: è un gesto generoso, utile alla società e all’individuo. Le parole conclusive di Gesù [Luca 5,23s.] non lasciano alcun dubbio: ciò che a torto è stato interpretato da alcuni come bestemmia, è riconosciuto da altri come una prova dell’autorivelazione di Dio: “Tutti furono presi da stupore e glorificavano Dio; e, pieni di spavento, dicevano: Oggi abbiamo visto cose straordinarie” (versetto 26).
Ritroviamo questa contrapposizione frontale in un altro testo (Giovanni 10,33): l’identità tra Gesù e Dio è il cuore della fede per gli uni, ma è considerata una “bestemmia” dagli altri: Gesù non denuncia la bestemmia, egli è la bestemmia.
Il potere determina il significato
Un ultimo testo dei Vangeli (Matteo 26,62-65) vede Gesù alle prese con la bestemmia e in particolare con l’interpretazione delle sue parole da parte di una personalità politica. In quel passo, il sommo sacerdote domanda a Gesù, prigioniero di fronte a lui, se lui sia o meno il Messia, il Figlio di Dio. Gesù rispetta la legge ebraica e risponde molto ingegnosamente, prestando attenzione a non pronunciare il Nome di Dio. Il suo interlocutore non la vede così e risponde: “Egli ha bestemmiato” (versetto 65). È un’accusa calunniosa; non è semplicemente una questione di interpretazione, ma anche di potere. È colui che ha il potere che decreta la validità del senso. La questione della bestemmia è dunque anche una questione politica: ieri come oggi, gli oppositori di un sistema e di un regime totalitario possono essere facilmente trattati da bestemmiatori. (da Arts Sacrés, n.18 luglio-agosto 2012, trad. it. G. M. Schmitt; adat. L. Nitti)
da: Voceevangelica
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