Si tratta del primo caso pubblicato – scrivono gli autori – di un trattamento di paralisi cerebrale. Una sperimentazione analoga è in corso negli Stati Uniti, i cui risultati sono attesi per la prossima estate. Non va peraltro dimenticato che il maggiore e attuale utilizzo delle cellule staminali del sangue cordonale è quello per la cura delle leucemie e di gravi immunodeficienze, terapie per le quali è cruciale che il cordone ombelicale venga donato al sistema pubblico dei trapianti.
Il piccolo, nel 2008, all’età di due anni e mezzo, in seguito a un arresto cardiaco era stato ricoverato all’ospedale cattolico di Bochum per gravi sintomi addominali, dove era stato sottoposto a cure intensive per salvargli la vita, ma era finito in stato vegetativo, riconosciuto anche al momento del ricovero dal centro di riabilitazione. Se prima della crisi aveva uno sviluppo motorio e cognitivo adeguato all’età – si legge nell’articolo scientifico – dopo l’arresto cardiaco e la conseguente mancanza di ossigeno al cervello, le sue capacità erano enormemente regredite: gli effetti erano simili a quelli della paralisi cerebrale, e si era reso necessario anche l’uso di un sondino per l’alimentazione.
Gli autori della pubblicazione, Arne Jensen ed Eckard Hamelmann (rispettivamente ginecologo e pediatra dell’università di Bochum), fanno allora ricorso – su richiesta dei genitori – al sangue del cordone ombelicale del bimbo, che era stato conservato alla nascita. Nove settimane dopo l’arresto cardiaco, venne quindi fatta un’infusione in vena di quasi 92 ml di sangue del cordone ombelicale non manipolato. Dopo alcuni moderati effetti collaterali, monitorati per 36 ore, il paziente è stato avviato a un’unità di riabilitazione, dove è stato sottoposto a un’intensa e quotidiana attività fisioterapica e di abilità linguistica. I controlli sono stati eseguiti dopo due, cinque, dodici, ventiquattro, trenta e quaranta mesi. I medici documentano il progressivo recupero di funzioni del bimbo nelle varie tappe: diminuzione della spasticità, capacità di seguire con lo sguardo, fino ai miglioramenti motori e alle crescenti competenze linguistiche: quaranta mesi dopo l’infusione del sangue cordonale, il bimbo formula frasi di quattro parole e usa 200 vocaboli.
Il tubicino dal colore biancastro, che viene reciso al momento della nascita (“cessazione del cordone ombelicale”: arterie e vena ombelicale si chiudono), racchiude in sé un grande potenziale: il cordone ombelicale è infatti ricco di un sangue contenente cellule staminali che possono essere conservate ed utilizzate in futuro con scopo terapeutico.
Dunque la “conservazione del cordone ombelicale” consiste nella crioconservazione delle cellule cordonali staminali e può avvenire attraverso “conservazione privata”, oppure tramite “donazione pubblica”.
La “conservazione privata” prevede che la famiglia decida di mantenere il campione raccolto alla nascita del proprio figlio a propria disposizione; dunque ci si rivolge alle cosiddette “banche del cordone ombelicale private” per la conservazione delle cellule cordonali staminali, che rimarranno in questo modo a disposizione esclusiva del donatore, ed in caso di necessità della sua famiglia.
La “donazione pubblica” si ha invece quando le cellule del cordone ombelicale vengono raccolte al momento della nascita e conservate presso “banche del cordone ombelicale pubbliche”, a disposizione dell’intera comunità. Il donatore (e la sua famiglia) non disporrà più delle cellule cordonali staminali di quel preciso cordone ombelicale.
Come potrete immaginare, la donazione pubblica delle cellule del cordone ombelicale è un atto di grande amore…
Alla nascita del bambino è possibile sottoscrivere a favore della donazione di tale organo, in caso contrario di questo non ne verrà fatto assolutamente nulla.
In caso affermativo, il campione verrà prelevato e conservato presso una banca pubblica, per cui non apparterrà più alla famiglia stessa: ma sarà messo a disposizione dell’intera comunità e verrà assegnato al primo paziente che avrà effettuato una richiesta.
Tuttavia, questo gesto di altruismo, non scontato e certamente ammirevole, prevede una procedura ben definita, divisa in una serie di tappe: in primo luogo si ha il “consenso informato alla donazione”, per cui i genitori sottoscrivono un documento in cui dichiarano la propria volontà; si prosegue con alcuni colloqui con il personale ostetrico dell’ospedale ed alla compilazione di un documento sull’anamnesi familiare; successivamente si eseguono alcune analisi (obbligatorie per legge), come l’esame del sangue; ed infine dopo circa sei/dodici mesi dal parto si effettuano nuove analisi del sangue per la madre ed una nuova anamnesi familiare.
Infine, studi recenti hanno dimostrato che il sangue placentare presenta forti somiglianze con quello del midollo osseo, grazie alla presenza dei precursori indifferenziati di globuli rossi, globuli bianchi e piastrine. Ne consegue che la donazione del sangue placentare potrebbe, in alcuni casi, sostituire il trapianto di midollo osseo, spesso reso impossibile a causa della disponibilità limitata di donatori compatibili con i pazienti.
Dunque il prelievo del sangue del cordone ombelicale, che avviene per mano dell’ostetrica al momento del parto (quando il cordone è già stato reciso), inserendo un ago nella vena ombelicale e raccogliendolo in una sacca sterile, prevede il vantaggio di non causare alcun rischio per il donatore e può essere conservato per molti anni, rimanendo a disposizione di molte persone.
In Italia, nonostante le banche di sangue placentare siano ancora poche, la donazione e la conservazione del sangue da cordone ombelicale rappresentano un interesse primario per il Servizio Sanitario Nazionale; tale donazione è regolata dal decreto ministeriale del 18 novembre 2009 “Disposizioni in materia di conservazione di cellule staminali da sangue del cordone ombelicale per uso autologo-dedicato”.
Non va dimenticato che conservare per sé il cordone ombelicale mina alla base tutto il sistema della donazione di organi e tessuti su cui è fondata la nostra sanità pubblica».
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