Oggi si sarebbe dovuto tenere il terzo e ultimo grado del processo che avrebbe restituito la libertà o sancito l’esecuzione capitale di Asia Bibi, la donna pakistana condannata per blasfemia.
Ancora una volta è rimandata la decisione che poteva mettere la parola fine al caso giudiziario di questa donna, condannata in quanto cristiana infedele, la cui ingiusta detenzione ha mobilitato dal 2010 diverse organizzazioni, cristiane e non.
La Corte suprema del Pakistan ha rinviato l’udienza a data da destinarsi perché uno dei tre giudici del tribunale, Iqbal Hamid-ur-Rehman, ha rinunciato al caso sostenendo di aver in passato seguito quello di Salman Taseer, ex governatore del Punjab ucciso per aver preso le difese della donna accusata da alcune compagne di lavoro di aver offeso il Profeta Maometto. Essendo i due casi giudiziari legati, il giudice si è dimesso.
Oggi ad Islamabad, sede del processo, erano schierati in piazza circa 3000 agenti delle forze dell’ordine. In caso di assoluzione della donna, infatti, si temeva un’ondata di proteste da parte di estremisti musulmani, come quella avvenuta nel marzo 2016: circa 30mila persone si scontrarono con i poliziotti di guardia al Parlamento per commemorare l’«eroe» Mumtaz Qadri, giustiziato a febbraio scorso per aver assassinato nel 2011 l’ex governatore del Punjab, Salman Taseer, che oltre a prendere le difese di Asia Bibi, aveva chiesto la revisione della rigida legge della blasfemia che prevede la morte per impiccagione. In più occasioni, gruppi estremisti musulmani hanno dichiarato di volersi far giustizia da sé, nel caso in cui la Bibi venisse graziata.
Sulle dimissioni del giudice sembrano gettare una luce le dichiarazioni rilasciate qualche giorno fa dall’organizzazione Christian Solidarity Worldwide (Csw), che da tempo si batte a favore della donna pakistana: «Abbiamo visto gli attacchi subiti da politici che si sono espressi a favore della donna. Salman Taseer e Shahbaz Bhatti, entrambi uccisi nel 2011, avevano apertamente preso posizione contro l’arresto e la condanna di Asia Bibi. Abbiamo registrato casi in cui i giudici, che presiedevano cause riguardanti le leggi sulla blasfemia, hanno ricevuto minacce e hanno dovuto abbandonare il paese. Quindi, se è vero che la Corte Suprema pakistana ha sempre avuto un approccio molto obiettivo, la storia ci ha insegnato che anche i giudici a questo livello sono esposti a minacce e ritorsioni».
In queste ore le strade di Islamabad rimangono tranquille. Inquieto, invece, sarà il cuore di Asia Bibi che aveva sperato di conoscere finalmente il verdetto sulla sua vita. Dovrà purtroppo ancora attendere.
Immagine: via flickr.com
di Marta D’Auria | Riforma.it
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