Con la sentenza “Oliari” la Corte Europea dei Diritti Umani (CEDU) ha condannato l’Italia perché non riconosce giuridicamente le coppie omosessuali con un istituto “sostanzialmente allineato al matrimonio”, cioè con le cosiddette “unioni civili”.
Secondo la CEDU l’Italia ha violato l’art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti Umani, che protegge il “diritto alla vita privata e familiare” dei cittadini.
Ordinandoci di approvare le “unioni civili” – vere e proprie forme di matrimonio gay a cui i Tribunali estenderebbero subito anche la possibilità di adottare bambini, violando il loro diritto di crescere con una mamma e un papà – la CEDU ha chiaramente superato i propri limiti, invadendo l’autonomia e la sovranità del nostro Stato. Il sacrosanto diritto di condividere la propria vita con chi si preferisce può essere (e nei fatti in Italia spessissimo già è) tutelato con specifiche norme di diritto privato, dall’assistenza sanitaria alla successione fino ai diritti patrimoniali, etc.
È inaccettabile che la Corte costringa l’Italia a imboccare la via che porta alla rottamazione del matrimonio e alla legittimazione di pratiche come l’utero in affitto. La stessa Corte Costituzionale italiana ha stabilito nel 2014 che lo Stato ha il diritto di salvaguardare il matrimonio come mezzo di riconoscimento della famiglia quale società naturale tra un uomo e una donna, senza confonderlo minimamente con la questione delle unioni omosessuali, come oggi ci chiede invece di fare la Corte Europea.
Chiediamo pertanto al Governo italiano che sfrutti con determinazione la possibilità di ricorrere contro la sentenza della CEDU entro i termini previsti, perché sia tutelata l’autonomia legislativa dello Stato, la sovranità popolare e, in definitiva, la Costituzione della Repubblica italiana.
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