Il direttore di Porte Aperte per l’Africa centrale e occidentale è stato a Bangui, capitale della Repubblica Centrafricana per incoraggiare i cristiani perseguitati, valutare i loro bisogni e discutere con i pastori i prossimi passi da fare.
“Ho avuto la possibilità di incontrare 8 vedove di pastori che sono stati uccisi durante le violenze nel CAR. Abbiamo passato del tempo insieme a leggere la Parola di Dio e a pregare. Una di queste donne aveva perso il marito solo 6 giorni prima. E’ stato straziante sentire la sua storia!”, riferisce il Direttore di Porte Aperte per l’Africa centrale e occidentale.
I Seleka erano stati a casa sua già una volta, ma suo marito Pierre non era in casa. Lei era riuscita a far andare via gli assalitori dando loro il denaro che aveva. Ma due settimane dopo i ribelli sono tornati a cercarlo. Questa volta lo hanno trovato, stava guidando un culto. I miliziani hanno sfondato la porta e hanno sparato al pastore e al figlio maggiore che era seduto davanti alla casa. La vedova è rimasta con 5 figli di cui prendersi cura. E’ evidente che i miliziani cercavano proprio lui. Già la prima volta avevano chiesto specificamente dove si trovasse e nessun’altro nella zona è stato attaccato recentemente.
“E’ difficile trovare parole per consolare lei e le altre donne che hanno vissuto simili traumi. Ma impariamo, come fratello Andrea, che la nostra presenza è molto importante per loro”.
Una vedova ci ha detto: “Grazie per il vostro amore e per le vostre cure… Voi non ci avete abbandonati e siete rimasti al nostro fianco. Quando siete venuti la prima volta, sono stata molto toccata. Quando ho perso mio marito, pensavo di aver perso tutto, ma Dio ha suscitato fratelli e sorelle a prendersi cura di me. Che Dio vi aiuti in questa nobile missione”.
Un’altra ha aggiunto: “Personalmente voglio ringraziare la missione, attraverso il vostro aiuto sono stata in grado di aiutare i miei figli. Attraverso la vostra assistenza sono riuscita a superare la crisi degli attacchi di dicembre scorso. Ho dovuto lasciare la mia casa e stare in un campo profughi. Sono sopravvissuta grazie al vostro aiuto. Quando ci arrivavano gli aiuti, mettevamo tutti insieme le nostre mani sopra ad essi, ringraziavamo Dio e pregavamo per coloro che ce li avevano donati. Siamo in debito: quello che abbiamo ricevuto dobbiamo farlo anche noi ad altri”.
Andandocene abbiamo dato una parola di incoraggiamento alle donne invitandole a stare unite l’una all’altra nella chiesa. Continueremo a sostenerle e ad aiutarle a diventare economicamente autosufficienti. Ma perché ciò possa avvenire c’è bisogno prima di tutto di sicurezza e stabilità.
Il nostro supporto e le nostre visite possono alleviare un po’ il dolore di queste donne. Abbiamo fiducia però nel fatto che il nostro Dio cambierà il male che sta avvenendo nel CAR in qualcosa di buono.
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