Mohammad Asghar, cittadino britannico di origini pakistane, era stato arrestato nel 2010 per essersi proclamato profeta. L’uomo soffre di disturbi mentali, ma la corte di primo grado ha rifiutato la richiesta di clemenza inoltrata dagli avvocati. Ashghar, 70 anni, è residente ad Edimburgo. Il governo scozzese ha annunciato che farà di tutto per risolvere il caso.
Islamabad (AsiaNews) – Una corte di Rawalpindi ha condannato a morte Mohammad Asghar, cittadino britannico di 70 anni, arrestato nel 2010 per blasfemia. Di origini pakistane, ma residente ad Edimburgo, l’uomo aveva scritto alcune lettere ad ufficiali di polizia nelle quali si proclamava profeta.
I suoi avvocati hanno chiesto ai giudici un atto di clemenza sottolineando i problemi mentali dell’uomo che anche in aula ha continuato a proclamarsi profeta. I legali hanno anche presentato una documentazione del Royal Victoria Hospital di Edimburgo nel quale i medici spiegano che Asghar soffre di una patologia schizofrenica e paranoica. La Corte ha rifiutato tutte le richieste di clemenza e si è rifiutata di accogliere i referti dei medici britannici. Gli avvocati faranno presente ai giudici la moratoria del 2008 sulla pena di morte e sperano che la sentenza venga ribaltata in sede di appello.
Un portavoce del governo scozzese si è detto “preoccupato” per la situazione: ” Esortiamo le autorità pakistane a rispettare la moratoria sulla pena di morte. In questo momento difficile siamo vicini alla famiglia di Asghar”. La baronessa Sayeeda Hussain Warsi, funzionario del ministero britannico degli Esteri, ha sottolineato che il ministero sta facendo forti pressioni sul governo pakistano per risolvere il caso.
Asghar è il secondo cittadino britannico a subire la famigerate leggi sulla blasfemia. All’inizio di quest’anno Masood Ahmed, uomo di 72 anni della comunità degli Ahmadi è stato incarcerato con l’accusa di blasfemia.
Lo scorso dicembre 2013 la Corte federale della Sharia ha accolto il ricorso di un avvocato che chiedeva la sola applicazione della pena di morte per i casi di blasfemia invece dell’ergastolo. La Corte ha quindi cancellato il carcere a vita dalla sezione 295 C del Codice penale pakistano che insieme al comma 295 A e B forma le cosiddette “Leggi sulla blasfemia”.
La Chiesa cattolica e le denominazioni protestanti chiedono da anni l’abrogazione della “legge nera”. Introdotta nel 1986 dal dittatore Zia-ul-Haq per soddisfare le rivendicazioni della frangia islamista, essa puniva con il carcere a vita o la condanna a morte chi profana il Corano o dissacra il nome del Profeta Maometto. Nel 2009 AsiaNews ha promosso una campagna internazionale di sensibilizzazione; tuttavia, nessun partito politico o governo ha voluto mettere mano alla norma e quanti hanno proposto emendamenti – il governatore del Punjab Salman Taseer e il ministro cattolico delle Minoranze Shahbaz Bhatti – sono stati assassinati.
Secondo i dati raccolti dalla Commissione episcopale Giustizia e Pace del Pakistan (Ncjp), dal 1986 all’agosto 2009 almeno 964 persone sono state incriminate in base alla legge sulla blasfemia: fra queste 479 erano musulmani, 119 cristiani, 340 ahmadi, 14 indù e 10 di religione sconosciuta. Più di 40 gli omicidi extra-giudiziali (compiuti da singoli o folle inferocite) contro innocenti e i processi intentati contro disabili fisici e mentali, o minorenni; fra le tante, ricordiamo la vicenda di Rimsha Masih, sfuggita alle (false) accuse dopo una massiccia campagna di pressione su Islamabad.
Fonte: http://www.asianews.it/
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