Arresti, riduzioni in schiavitù, torture, apostasie forzate. Sono tanti i supplizi che i cristiani devono subire nel mondo. In particolare, in Africa e Asia le persecuzioni non accennano a diminuire.
È quanto emerge dal Rapporto annuale della fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che Soffre, dal titolo Libera i tuoi prigionieri. Un rapporto sui cristiani ingiustamente detenuti per la loro fede, in cui spicca la prefazione di Asia Bibi, la donna rimasta in carcere in Pakistan per dieci anni e liberata nel 2018.
Il rapporto di ACS menziona la Nigeria come caso esemplare in tema di “sequestro di cristiani”. Ogni anno, nel paese africano, almeno 220 fedeli vengono rapiti o imprigionati ad opera di gruppi jihadisti. Spesso i sequestri a scopo di riscatto si concludono con l’uccisione della vittima.
Pakistan ed Egitto: la piaga dei matrimoni forzati
In Pakistan, le principali vittime sono giovani donne, quasi sempre adolescenti, che diventano le tragiche protagoniste del fenomeno delle ‘spose bambine’. Soltanto nel 2018, nella sola provincia del Sindh, sono state costrette alla conversione 1000 donne cristiane o indù.
Un fenomeno sempre più diffuso, secondo i dati di ACS, anche in Egitto, dove sono numerosi i casi di giovani donne copte, rapite da uomini non cristiani e costrette a matrimoni forzati. Sempre in Africa, desta particolare preoccupazione l’Eritrea, dove si stima i cristiani ingiustamente detenuti siano più di un migliaio.
Il record dei cristiani privati della libertà spetta comunque alla Cina, dove “tra il novembre 2018 e il 31 ottobre 2019, sono stati imprigionati senza accusa 1.147 cristiani a causa della loro fede. Il 30% dei fedeli ingiustamente detenuti in tutto il mondo”.
Non va meglio in Corea del Nord, dove vi sono “fino a 50.000 cristiani che languono nei campi di lavoro. E rappresentano quasi il 50% del totale dei detenuti in queste condizioni”. Si presume che gli sforzi di questi prigionieri siano indirizzati principalmente all’“avanzamento dei programmi nucleari e balistici” in questo paese.
Arresto dei pastori e reclutamento forzato degli studenti
In Myanmar, lo United Wa State Army, sostenuto dai cinesi, è stato accusato di aver orchestrato “una campagna di terrore prendendo di mira i cristiani con il pretesto di combattere l’“estremismo religioso”. Si presume che, a partire dal 2018, “l’esercito abbia interrogato e arrestato 100 pastori e reclutato con la forza studenti cristiani”.
In Iran, informazioni non confermate di un incremento dei convertiti al cristianesimo sono state addotte come causa dei nuovi provvedimenti restrittivi del regime islamico ai danni dei fedeli. “Gli arresti di cristiani – si legge nel rapporto – secondo quanto riferito, avrebbero raggiunto il culmine nel 2019 alla vigilia del 40° anniversario della rivoluzione iraniana, prendendo specificamente di mira fedeli appartenenti a chiese domestiche”.
Covid: una scusa per opprimere la libertà religiosa dei cristiani
Un risvolto particolarmente preoccupante della compressione della libertà religiosa risiede nell’emergenza-Covid. È utilizzata da molti governi come scusa per imporre ulteriori restrizioni. Ciò avviene in modo assai marcato in Myanmar, Cina e Iran. Il Rapporto di ACS menziona in modo specifico i casi di alcuni vescovi, prigionieri da anni in Cina (monsignor James Su Zhimin di Boading, arrestato nel 1996.
E Augustine Cui Tai di Xuanhua, finito in manette lo scorso giugno) e in Eritrea (il patriarca ortodosso di Tawahedo, Abune Antonios, ai domiciliari da 13 anni). Tutti pastori di cui non si hanno più notizie, né è noto se siano tutti ancora vivi. Così come non si hanno notizie di padre Paolo Dall’Oglio, il missionario gesuita sequestrato dall’ISIS in Siria nell’estate 2013.
Luca Marcolivio
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