La questione ebraica

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17-Fotfrfro_19A tutti coloro ai quali sta a cuore il dialogo ebraico-cristiano (dovrebbe stare a cuore a tutti i cristiani, senza eccezioni!) non posso che raccomandare un libro apparso da poco, che rende accessibili al lettore italiano alcuni testi davvero importanti sulla cosiddetta «questione ebraica» (in realtà si tratta di una «questione» tutta e solo cristiana!), così come venne dibattuta in Germania nel 1933, anno cruciale della storia tedesca (il 31 gennaio di quell’anno Adolf Hitler prese il potere) da due protagonisti di primo piano: Gerhard Kittel (fondatore del monumentale Dizionario teologico del Nuovo Testamento, una miniera pressoché inesauribile di scienza biblica, interamente tradotta in italiano da Paideia), professore evangelico all’Università di Tubinga, e il noto filosofo ebreo Martin Buber, autore di molte opere tra le quali il celebre Io e tu e la raccolta I racconti dei Chassidim.

Kittel sostiene, a proposito dell’ebraismo, le posizioni del movimento dei Cristiano-tedeschi, in parte diverse da quelle del nazismo, ma in parte, purtroppo, convergenti. Egli tenta di dare fondamento teologico alle misure discriminatorie (che egli definisce «necessarie, anche se dolorose») che il governo stava varando nei confronti degli ebrei, i quali – secondo Kittel – devono essere ridotti al rango di «forestieri» anche se tedeschi da secoli. Ad esempio, Kittel considera perfettamente normale, anzi necessario, che, per legge dello Stato, gli ebrei siano esclusi dall’insegnamento a tutti i livelli, dalle elementari all’Università, come pure da tutte le professioni liberali (medici, avvocati, giudici, giornalisti, ecc.) e da qualunque posizione sociale in grado di influenzare in qualunque modo il popolo tedesco.

Il libro, intitolato La questione ebraica. I testi integrali di una polemica pubblica (a cura di Gianfranco Bonola, Edb – Edizioni Dehoniane –, Bologna 2014, pp. 173, euro 15, 00) contiene anche, oltre alla Risposta puntuale di Buber, il testo di una conferenza di Rudolf Bultmann sul compito della teologia in quegli anni, una lettera di Ernst Lohmeyer a Buber di piena solidarietà con la sua presa di posizione e contro tutto il discorso del suo collega Kittel (Lohmeyer sarà poi iniquamente fucilato dai russi nel 1946), e una lettera di Hans Philipp Ehrenberg, ebreo diventato cristiano e poi pastore evangelico, co-fondatore della Chiesa confessante, anch’egli in radicale opposizione a Kittel.

Si tratta di documenti di estremo interesse e altamente istruttivi per capire come una certa corrente teologica (evangelica!) abbia potuto diventare – quasi senza accorgersene e, per di più, con buona coscienza – complice del nazismo, sulla cui vera natura, in quell’anno, molti si illudevano ancora. Ma c’era anche chi non si illudeva, come Lohmeyer, che dice di provare «vergogna» per il fatto che «dei colleghi teologi [come Kittel!] possano pensare e scrivere come stanno facendo, che la Chiesa evangelica possa tacere come sta facendo e si lasci spingere fuori dalla sua rotta, come una barca priva di timoniere, dalla bufera politica di un presente comunque transitorio» (p. 157). Quanto alla posizione di Lohmeyer sull’ebraismo, la si può comprendere in questa breve, bellissima, affermazione: rivolgendosi a Buber dice: «Spero che Lei sarà d’accordo con me nel fatto che la fede cristiana è cristiana soltanto finché porta nel cuore quella ebraica» (p. 158).

Esemplare la cura del volume da parte di Gianfranco Bonola. Ottime sia la sua traduzione sia l’Introduzione, sia l’apparato critico. Complimenti all’Editore.

Paolo Ricca

Fonte: http://www.riforma.it/


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