Il costume da bagno che copre la donna dalla testa alle caviglie, detto burkini, potrebbe prendere piede tra le donne musulmane in Europa.
(ve/rns) Già da un decennio si parla del burkini, un costume, pensato per le donne musulmane, che ha l’aspetto di una muta con una felpa con cappuccio. In alcuni luoghi, soprattutto nelle piscine pubbliche in paesi europei e in alcuni stabilimenti balneari marocchini frequentati da turisti stranieri, è già stato vietato. Molti non-musulmani in Europa lo stanno scoprendo adesso a causa del fatto che una popolare catena di grandi magazzini britannici – “Marks & Spencer” – ha appena lanciato sul mercato la propria linea di burkini, mirando a quella crescente nicchia di mercato della “moda islamica” e combinando insieme design moderno con i principi musulmani.
Di qua e di là dalla Manica
L’arrivo del burkini nei principali grandi magazzini ha messo in evidenza ancora una volta le differenze tra l’approccio britannico pragmatico nei confronti del multiculturalismo e la determinazione con cui la Francia respinge ogni offensiva verso la propria impostazione laica.
“House of Fraser”, ditta concorrente britannica, è uscita con una propria linea. Entrambe le catene chiamano il costume “burkini”, dalle parole burka e bikini, ma nessuna delle due menziona la religione nelle proprie campagne pubblicitarie.
Nella “nazione di commercianti” – come si dice che Napoleone abbia definito la Gran Bretagna – i sostenitori del burkini lo presentano come un prodotto in grado di soddisfare la domanda di una certa fascia di consumatori. “Abbiamo venduto questo articolo per molti anni ed è già popolare tra i nostri clienti a livello internazionale”, ha detto una portavoce di Marks & Spencer.
Alla prova del pragmatismo britannico
Il tabloid conservatore Daily Mail lo ha chiamato “la prova definitiva che la Gran Bretagna è davvero multiculturale” e ha osservato che etichette come H&M, DKNY, Mango e Uniqlo hanno recentemente lanciato collezioni di moda che vanno incontro alla sensibilità musulmana.
Alcuni critici hanno definito il burkini come sessista; uno di loro ha chiesto perché le donne dovrebbero “vestire come sommozzatori”. Ma altri hanno difeso il diritto delle donne musulmane di poter scegliere. “Se voglio comprare un burkini da M&S, lo farò”, ha scritto la giornalista Remona Aly in un editoriale per il quotidiano liberal The Guardian. Dall’altra parte della Manica, in Francia, dove il governo è preoccupato per qualsiasi segno che la minoranza musulmana non sia adeguatamente integrata, la questione è subito scivolata verso la polemica politica, che ha presentato il burkini come il primo passo verso l’oppressione delle donne e il radicalismo islamico.
Reazioni critiche in Francia
La ministra per i diritti delle donne, Laurence Rossignol ha detto: “Certo potranno esserci donne che scelgono il burkini, così come c’erano in America ‘negri’ a favore dello schiavismo”. Si è poi subito scusata per l’utilizzo del termine “negro”.
La nota femminista Elisabeth Banditer ha chiesto il boicottaggio dei negozi che promuovono la moda islamica. Ha detto che i francesi sembrano aver dimenticato i loro principi fondamentali dell’uguaglianza per tutti, indipendentemente dalla fede, dall’etnia o dal genere. “Non dobbiamo avere paura di essere chiamati islamofobi”, ha affermato. La sinistra francese è stata troppo tollerante verso le comunità musulmane, che costringono le loro donne a coprirsi i capelli e usare queste novità come il burkini, ha aggiunto.
Il primo ministro Manuel Valls ha collegato la moda musulmana con il movimento salafita, le cui frange più estreme hanno ispirato i violenti attacchi di Parigi lo scorso anno. In una conferenza lo scorso 4 aprile, ha affermato che il velo musulmano non è un elemento di moda, ma una modo per opprimere la donna e ha dichiarato che il salafismo, che ha descritto come una strada verso il terrorismo, rappresenta solo l’1 per cento dei musulmani francesi, eppure “sta vincendo la battaglia ideologica e culturale” fra di loro. I leader della comunità musulmana lamentano il fatto che questa impostazione dipinge tutti i musulmani come terroristi, ma le loro reazioni hanno avuto ben poca copertura nei media francesi.
Dal parlamento a Air France
La reazione dura al burkini arriva nel mezzo delle tensioni politiche conseguenti agli attacchi sanguinosi dello scorso novembre e mentre il governo vive la frustrazione di non riuscire a contrastare la radicalizzazione che ha condotto a quegli attacchi. Solo la scorsa settimana il presidente François Hollande ha dovuto abbandonare un duro disegno di legge che aveva ideato con Valls lo scorso novembre. La proposta di legge avrebbe tolto la cittadinanza francese ai terroristi che hanno un secondo passaporto, una piccola categoria di cittadini che sarebbero stati in maggioranza immigrati musulmani. L’opposizione conservatrice, insieme perfino a parti importanti del suo partito socialista, hanno rigettato la proposta di legge.
Anche Air France ha toccato questo tema delicato, quando ha consigliato alle hostess che lavorano sulla rotta Parigi-Teheran – recentemente riaperta – di coprire i capelli e indossare pantaloni all’arrivo in Iran. I sindacati del personale hanno protestato, finché la compagnia aerea ha stabilito che a quella tratta sarebbero state assegnate soltanto le hostess volontarie. (Tom Heneghan; trad. it. Luisa Nitti)
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