Quello che s’impara sull’umanità vivendo in strada

Quello-che-s-impara-sull-umanita-vivendo-in-strada_mediumI passanti principalmente mi ignorano, una senzatetto seduta sul marciapiede o su una panchina. Quelli che mi rivolgono la parola sono o curiosi o arpie che mi offrono consigli non richiesti e inutili, o gente più irritabile che mi rimprovera. Cerco di spiegare mediante esempi che ci sono persone buone, oneste, impiegabili ma indigenti a New York.

Molti, anche, presumono che i senzatetto siano tutti tossicodipendenti, delinquenti o prostituteIo non sono nessuna di queste cose e tuttavia ho costatato di persona questi stereotipi. Cerco di darmi da fare, svolgendo qualsiasi lavoro riesco a trovare, spesso il tipo di lavoro che ora svolgono gli immigrati irregolari. Quando mi sono offerta volontaria alla mensa dei poveri di una chiesa, sperando di fare la mia parte, un’estranea mi ha accusato di tutte queste brutte cose alla presenza del parroco e di altri membri della chiesa. Per anni ha continuato ha fare questo tipo di osservazioni e ha avvertito nuovi volontari che li avrei derubati. Nessuno ha detto una parola a mia difesa.

Non ho dati recenti ma so che nel 1994 è stato pubblicato uno studio sui senzatetto di Manhattan e una sintesi è apparsa sui giornali di New York. I risultati affermavano che il 30-40% della popolazione senzatetto che viveva per strada soffriva di malattie mentali, compreso alcolismo e tossicodipendenza. E’ una statistica tragica, ma si può dedurre da questa indagine anche che il 60-70% dei senzatetto in strada non è costituito da malati mentali, tossicodipendenti o alcolisti. Ci si dovrebbe ricordare che altri fattori – come l’istruzione, la formazione professionale, l’occupazione, il mercato immobiliare e il modo in cui sono amministrati i programmi per i poveri – spingono anch’essi le persone a finire nelle strade.

E’ molto doloroso per me parlare di come sono diventata senzatetto. Non entrerò in tutti i dettagli, ma ho perso il mio lavoro e da lì è iniziata una spirale con la perdita del mio appartamento ad affitto controllato. Mi sono recata in comune a chiedere aiuto e mi è stata data una lista di enti di beneficienza da contattare. Sono andata da tutti, sperando che uno mi desse i soldi di cui avevo bisogno per pagare l’affitto. Si trattava soltanto di 400 dollari, ma nessuno ha voluto aiutare. Da una cosa ne è seguita un altro e oggi è difficile persino immaginare di tornare a un qualche genere di lavoro stabile. Ho dei vuoti nel mio curriculum. Non ho un indirizzo permanente o un conto bancario. I locatori vogliono prove di un reddito stabile.

Mi chiedono spesso se ho abbastanza da mangiare. Mangio qualsiasi cosa sia sana. Quelli che lavorano con il cibo mi portano gli avanzi. Una volta alla settimana aiuto a scaricare un camion agricolo perché i membri della cooperativa alimentare non sono lì quando arriva il camion. Gli autisti mi danno molte volte della frutta deliziosa. Pulisco anche un marciapiede fuori da un ristorante e i proprietari d’inverno mi danno della zuppa calda. Persone gentili acquistano per me caffè e una brioche e a volte una pizza. Durante le feste c’è chi dona dolci fatti in casa e altre cose.

Con i buoni alimentari non si può acquistare cibo pronto. Per i senzatetto come me, senza un posto dove cucinare, ciò elimina la verdura cotta e ogni altro cibo caldo in inverno. Un’alternativa sono le mense dei poveri. I volontari si danno da fare per renderle gradevoli e servire cibo commestibile. Ma a volte il cibo sazia, ma non è nutriente. Carboidrati come pane, cereali, pasta e riso sono i componenti principali della maggior parte dei pasti.

Dipendere dalle mense dei poveri per mangiare significa anche che la maggior parte della giornata è spesa a zigzagare per la città, ad attendere in lunghe file e a trovare un posto in aree a sedere sovraffollate. Ci sono molte persone con scarsa educazione a tavola, con abitudini antigieniche o che cercano la rissa. Se volete la verità, gli ospizi e le mense dei poveri e altre strutture loro dedicate sono prevalentemente i luoghi più antigienici, insalubri e pericolosi in cui io sia ma stata.

Spesso non c’è cibo sufficiente per dar da mangiare a tutti negli ospizi. Una volta una donna aveva un brutto raffreddore nell’ospizio in cui stavo e così io ho comprato tre dozzine di arance da condividere. Per aver fatto questo sono stata rimproverata dal personale e da un’assistente sociale. Un frequentatore da lunga data di questo particolare ospizio ha spiegato che il comune di New York pagava per darci da mangiare per pasti al giorno e uno spuntino serale. Ma le cose non stavano così. Una settimana dopo, sono state consegnate scatole di cibo e molte di essere sono state portate via dal personale quando se n’è andato quella sera.

Ho visto parte del meglio e del peggio dell’umanità da quando sono diventata senzatetto alcuni anni prima della recessione. Le mie cose sono state rubate da altri residenti e operatori degli ospizi e persino da personale della chiesa e da passanti. Una volta un operatore dell’ospizio ha gettato i libri appartenenti alla biblioteca locale, creandomi problemi nel cercare di ottenere qualcos’altro dalla biblioteca. Una volta mi è stata rubata la borsetta, che tenevo in uno zainetto. Conteneva una quantità di informazioni su amici e parenti e altre carte personali. Queste non le posso sostituire.

Il peggio sono le docce per i senzatetto. Negli ospizi per donne, tutte le porte dei bagni sono state modificate per consentire il controllo del fumo, dell’uso di droghe e di potenziali suicidi. Per circa 150 donne ci sono solo due docce e solo poche ore in cui sono disponibili. Così si fa una lista e quelle sulla lista controllano l’uso delle docce, annunciando chi è la prossima e ricordandole di fare in fretta. Non appena una donna entra nella cabina della doccia un’altra donna comincia a urlarle di spicciarsi. Le proteste riecheggiano lungo la fila di quelle che attendono.

Ben presto si rivolgono all’operatore maschio al banco (non so perché sia consentito agli uomini di fare quel lavoro) per dirgli che chi usa la doccia ha superato il tempo limite e che dovrebbe farla uscire. L’operatore urla dalla sua scrivania, bussa più volte alla porta e poi sblocca la porta e la apre. Quasi sempre quella che la utilizza non ha finito di vestirsi e può trovarsi in bella vista davanti a molte altre persone. Se grida per l’imbarazzo o l’indignazione l’operatore le urla di rimando ammonimenti e minacce di chiamare la polizia.

Non voglio sembrare lagnosa. Ho anche conosciuto persone come una giovane che mi ha vista sconvolta dopo un’aggressione da parte di una residente dell’ospizio per donne di Park Avenue. Mi si è avvicinata e mi ha chiesto cosa non andava. Le ho detto che avevo posato le mie borse per riposare e una completa estranea era arrivata a urlarmi e ad accanirmisi contro. Quando sono indietreggiata ha gettato le mie borse nella strada. Non ho idea del perché. Questa donna era matta o solo arrabbiata perché nel suo isolato c’era una senzatetto?

Quando se n’è andata ho recuperato le mie borse ma lei è tornata e ha continuato con lo stesso comportamento. Alla fine se n’è andata e ho preso le mie borse. La giovane mi ha chiesto se poteva aiutarmi. Le ho detto che avevo perso l’appartamento, com’erano gli ospizi e il lavoro che avevo fatto in precedenza. E’ stata attenta, paziente, una buona ascoltatrice e mi ha dato dei soldi. Il comportamento disinteressato della giovane ha mitigato un’esperienza sgradevole. Il suo cuore compassionevole e il suo spirito generoso mi hanno permesso di andarmene sollevata. Lei è stata eccezionale, anche se pure altre persone che ho incontrato hanno dimostrato alcune delle sue qualità di carattere.

Il mio sogno è di fare l’insegnante di matematica alle medie. Il mio diploma universitario è in scienze informatiche e normalmente facevo la supplente. So che probabilmente non succederà. Per adesso faccio quello che devo. Desidero solo che la gente non si faccia idee su di me, specialmente che io sia una matta o una delinquente.

L’idea che ci facciamo noi, leggendo questa notizia, è come si può gioire  nelle opere quotidiane e negli insegnamenti che il Maestro ogni giorno ci dà. A tal proposito invito tutti a seguire l’esempio del Maestro in tema di solidarietà, se uno in questo mondo vuol essere qualcuno, deve essere l’ultimo!

Nelle ultime ore della sua vita su questa terra, Gesù disse a Pietro: “Se non ti lavo, non hai parte alcuna con me“, (Gv 13: 8).

Il termine greco meros (parte) significa: parte del bottino, di una eredità. In altre parole, chi non partecipa al rito della lavanda non riceverà l’eredità della vita eterna e non potrà godere della mia presenza oggi. “Il bottino” dell’eredità non riguarda solo il futuro eterno, ma anche il presente: “Poiché dove due o tre sono riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro”, (Matteo 18:20).

La lavanda dei piedi quindi è un rito che unisce, accomuna il discepolo al Maestro. Ciò significa che il destino del discepolo è lo stesso del Maestro. Più tardi lo stesso apostolo scriverà: ”Infatti, a questo siete stati chiamati, poiché anche Cristo ha sofferto per voi, lasciandovi un esempio, perché seguiate le sue orme“, (1 Pietro 2:21).

Ciò che dà valore al nostro essere figli di Dio è la sequela di Gesù. I veri credenti “sono quelli che seguono l’Agnello dovunque vada” (Apocalisse 14:4-5).

La lavanda dei piedi oltre a unire il discepolo a Cristo, avvicina gli uni agli altri. Infatti, il Signore aggiunge: “Se dunque io, che sono il Signore e il Maestro, vi ho lavato i piedi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Infatti vi ho dato un esempio, affinché anche voi facciate come vi ho fatto io“, (Giovanni 14-15). Anche l’altro fa parte del “gruzzolo” che il Signore ha lasciato in eredità ai suoi seguaci: “chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi a causa del mio nome, ne riceverà cento volte tanto, ed erediterà la vita eterna”, (Matteo 19:29).

Se il destino del discepolo è quello di seguire Gesù, questo destino accomuna i credenti a vivere Cristo nella comunione fraterna, nella condivisione della Parola e della vita in generale. La lavanda dei piedi unisce, solidarizza, crea legami d’umiltà e di reciproca disponibilità. Rievoca l’esperienza di Gesù con gli apostoli e della chiesa primitiva. Una comunità del pari consentimento, riconciliata, dei beni in comune e della condivisione di Cristo: Parola di Dio (Atti 1 e 4).

Dalla solidarietà unica di Cristo, il giusto sofferente, e dal suo essere “uno per tutti”, nasce la solidarietà del “tutti per uno” e del “tutti per tutti”: l’uomo cioè è solidale con lui e con tutti gli altri.

Cristo infatti ci rappresenta tutti, ma non ci sostituisce: apre una nuova strada, che tutti noi dobbiamo percorrere: la solidarietà.

Nota della redazione: Mary spesso siede nello stesso isolato di un redattore del Guardian. Questo articolo è stato composto in base a note manoscritte di Mary e a molte conversazioni con il redattore. A Mary è stato pagato un compenso analogo a quello di altri collaboratori del Guardian

Mary, senzatetto di New York da Znetitaly.altervista.org


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