Quel grande business del mercato gay friendly

Oltre il 25% dei prodotti cinematografici, televisivi, radiofonici e pubblicitari italiani è gay friendly. E le amministrazioni si stanno adeguando. Dietro l’orgoglio Lgbt si nasconde solo un grande business.

Dice l’Osservatorio Gender di questo giornale che secondo il Diversity Media Report(un’indagine sulla rappresentazione delle persone omosessuali nei media) oltre il 25% dei prodotti cinematografici, televisivi, radiofonici e pubblicitari italiani è gay friendly, come si è visto a Sanremo, dalla De Filippi e altrove, in moltissimi film e personaggi fissi del piccolo schermo. Per giunta, nel 2016 le notizie sulle persone Lgbt erano triplicate rispetto all’anno precedente, «anno che ha visto raddoppiate le attenzioni alle tematiche gay rispetto al decennio precedente».

Ma qual è la causa di tutta questa attenzione, che in pochi anni ha sdoganato certi argomenti fino a farli avvicinare sempre più pericolosamente a una vera e propria dittatura ideologica? Perché, di colpo, il vento è cambiato? Cherchez la femme, diceva un vecchio adagio giallistico. Qui potremmo dire, semplicemente: segui i soldi. Secondo statistiche americane gli omosessuali hanno una propensione al consumo molto superiore a quella degli etero. Ed è questo il motivo del rapidissimo –come si ricorderà- voltafaccia della Barilla, che proprio negli Usa detiene il 30% del mercato della pasta.

Una dichiarazione, su domanda, a una trasmissione radiofonica scatenò la gogna e poi il boicottaggio. Così, dall’oggi al domani, la Barilla, che faceva solo spot pubblicitari per famiglie tradizionali, si convertì al verbo Lgbt e salvò il fatturato statunitense. Dicono le summenzionate statistiche americane che i gay escono per fare shopping almeno il 16% delle volte in più degli etero, e la loro spesa media è superiore addirittura del 25%. Per giunta, il 65% dei gay dichiarano di non poter fare a meno di consigliare le loro scelte ad altri. Cosa che per le strategie di marketing delle grandi imprese è cruciale.

Negli States, poi, i gay hanno un reddito medio procapite più alto, sono mediamente più istruiti e meno disoccupati. L’assenza di figli, infine, comporta uno stile di vita più propenso al consumo che al risparmio. Pochi anni fa, la ricchezza complessiva della comunità gay americana era calcolata sui mille miliardi di dollari, una cifra che nessun imprenditore, specie dei grandi marchi, può permettersi di ignorare.

Dunque, incoraggiamento. Anche alcune amministrazioni (pure italiane) hanno annusato l’affare e si sono lanciate in guide turistiche gay friendly (spiagge, itinerari, discoteche…) che se non hanno proliferato più di tanto è per la sorda opposizione delle famiglie tradizionali già frequentatrici degli stessi luoghi. Nel 2011 l’allora segretario di stato americano, Hillary Clinton, istituì il Global equity fund, fondo misto pubblico-privato che sostiene i diritti Lgbt e finanzia attivisti anche all’estero. Non è l’unico: negli Usa, terra delle lobbies, i gay possono contare su molte altre realtà di appoggio e sostegno.

E’ così che la Storia sta andando in una certa direzione, una direzione che nessuno, fino a qualche tempo fa, avrebbe sospettato. Una direzione che, se non avesse odorato fin da subito di business, non sarebbe stata nemmeno intrapresa. Tanto per cambiare, qual è la grande nemica della nuova «direzione della Storia»? La chiesa cristiana. Da qui, come sempre accade nei grandi cambiamenti storici, i collaborazionisti e gli amici del giaguaro. Intanto, il lavorio (…oltre il 25% dei prodotti cinematografici, televisivi, radiofonici e pubblicitari italiani…) ha prodotto i suoi risultati: due anni fa l’Istat pubblicava un’indagine sulle cause di discriminazione nel nostro Paese. Ebbene, tra le prime dodici (!) cause l’orientamento sessuale è assente.

Rino Cammilleri | Lanuovabq.it


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