Il sesto Rapporto annuale della fondazione Moressa e dedicato all’economia dell’immigrazione dice che gli stranieri che lavorano in Italia producono 127 miliardi di ricchezza e costano solo il 2% della nostra spesa pubblica
Nel 2014 in Italia è entrata in vigore la nuova disciplina generale sulla cooperazione internazionale allo sviluppo, che assegna per la prima volta un ruolo preminente alle comunità immigrate. Inoltre, l’Unione europea aveva dichiarato il 2015 «Anno europeo per lo Sviluppo».
Dunque, il contesto normativo italiano e la cornice europea sono importanti per la vita degli oltre 5 milioni di stranieri residenti nel nostro paese e diventati ormai una componente economica importante in termini di imposte pagate, contributi previdenziali pagati e ricchezza prodotta ed anche per i loro paesi d’origine, attraverso le rimesse inviate in patria e le sinergie attivate tra le due economie.
Per questi motivi, la Fondazione Leone Moressa ha sentito l’esigenza, in questi ultimi sei anni, di redigere un Rapporto annuale dedicato proprio all’economia dell’immigrazione producendo dati interessanti e che, in questi giorni soprattutto, hanno fatto scalpore grazie ad un dato in particolare da loro diffuso: gli stranieri che lavorano in Italia producono 127 miliardi di ricchezza, ossia una somma paragonabile all’intero fatturato del gruppo Fiat.
«Sappiamo che il nostro paese ha bisogno dei migranti – ricorda su Riforma.it il professor Paolo Naso, coordinatore del progetto Mediterranean Hope della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI) –: lo dice la nostra “piramide demografica”, lo dice l’economia (il migrante stabilizzato produce ricchezza). Molti dati dicono anche che per superare la crisi che ci attanaglia è fondamentale il prodotto interno lordo di coloro che si sono stabiliti in Italia. Proprio a partire da questi dati, pratici e razionali, possiamo ricostruire un discorso pubblico sulle migrazioni, sostenibile, democratico e in linea con gli standard giuridici dell’Unione Europea».
Il contributo economico dell’immigrazione si traduce in 7 miliardi di Irpef versata – evidenzia anche la Fondazione Moressa – in oltre 550 mila imprese straniere che producono ogni anno 96 miliardi di valore aggiunto. Di contro, la spesa destinata agli immigrati è pari al 2% della spesa pubblica italiana (15 miliardi: molto meno, ad esempio, dei 270 miliardi per le pensioni).
Risultati che sono stati presentati a Roma in conferenza stampa martedì scorso presso il Viminale, in occasione dell’uscita della sesta edizione del Rapporto annuale sull’economia dell’immigrazione e pubblicato con il contributo della Cgia di Mestre e il patrocinio di Oim e Maeci .
L’edizione 2016 «L’impatto fiscale dell’immigrazione», si focalizza sulle casse pubbliche dello Stato.
Dal punto di vista demografico è emerso che nel 2015, anno preso in considerazione, gli italiani in età lavorativa erano il 63,2%, mentre gli stranieri il 78,1%. Dal punto di vista economico, dunque, la ricchezza prodotta dagli stranieri in termini di «valore aggiunto» nel 2015 è stata pari a 127 miliardi (ossia l’8,8% del valore nazionale).
Il tasso di occupazione degli stranieri è nettamente maggiore a quello degli italiani (anche se nella maggior parte dei casi, ossia nel 66% , si tratta di lavori a bassa qualifica professionale malgrado il titolo di studio della popolazione straniera) e oltre la metà del «Pil dell’immigrazione» deriva dal settore dei servizi (50,7%), ma l’incidenza maggiore si registra nella ristorazione dove gli stranieri producono il 19% della ricchezza complessiva.
È ancora emerso che l’Italia è il Paese europeo che «spende di più» per le pensioni: quasi il 17% del Pil, ossia 270 miliardi. Oggi gli extracomunitari pensionati in Europa sono circa 71mila e i comunitari dell’Europa dell’Est circa 25mila. Quindi i pensionati stranieri sono 100 mila, mentre i pensionati nel computo totale oltre 16 milioni. Dati che sfatano molti luoghi comuni.
Per informazioni visitate il sito: fondazioneleonemoressa.org
Immagini: via publicdomainpictures.net
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