«A rendere questo volume prezioso è anche la presenza delle micrografie, disegni – composti a loro volta da lettere in ebraico miniaturizzate – che raffigurano gli oggetti che erano nel tempio di Gerusalemme distrutto dai Babilonesi nel 586 avanti Cristo e dai Romani nel 70 dopo Cristo: «Quegli oggetti, come la Menorah, l’Arpa di Davide, il contenitore della manna, sono in parte raffigurati anche sull’Arco di Tito, e rappresentano l’identità del popolo ebraico» dice Procaccia. «Il sofer di Maiorca – spiega Spagnoletto – concluse il suo lavoro di trascrizione tra aprile e maggio del 1325. Nel 1391 le comunità di Barcellona e Maiorca subirono i progrom più duri tra uccisioni, conversioni ed esilio. Poi gli ebrei furono richiamati per essere definitivamente espulsi dalla Spagna nel 1492». E quel libro arrivò in Italia, a Roma, portato da esuli spagnoli. «Tra queste pergamene — dice il rav — si trova anche l’elenco delle famiglie che a turno conservavano nell’Ottocento la raccolta: Volterra, Spizzichino, Modigliani, tra gli altri».
«Questo è uno dei trenta manoscritti più importanti tra quelli che custodiamo qui, e probabilmente uno dei più notevoli tra le raccolte conservate a livello italiano. Per restaurarli tutti, servirebbero circa 120 mila euro» dice Procaccia. E Riccardo Pacifici, presidente della Comunità ebraica romana, conclude: «Non vogliamo essere ricordati soltanto per la grande tragedia della Shoah ma anche per l’immensa produzione culturale del nostro popolo che a Roma si cristallizza anche nello studio di questi antichi testi. E l’archivio è la nostra punta di diamante».
da: roma.repubblica.it
Spagnoletto è l’unico sofer, cioè copista, che negli ultimi 150 anni a Roma abbia trascritto a mano il Sefer Torah, una copia in pergamena del Pentateuco utilizzata nelle funzioni religiose. «Questa raccolta d’ausilio al lavoro del sofer è del 1325, come si legge chiaramente, è ben conservato ed è composto di pergamene di agnello pregiate» spiega nelle stanze del dipartimento Cultura della comunità ebraica. «Sono testi che fanno fede per copiare manualmente la Torah, perché non manchi neppure una lettera, per evitare che il rotolo sia inutilizzabile nelle funzioni religiose, non sia pasul, ovvero “fasullo” dice il direttore del Dipartimento Claudio Procaccia.
«A rendere questo volume prezioso è anche la presenza delle micrografie, disegni – composti a loro volta da lettere in ebraico miniaturizzate – che raffigurano gli oggetti che erano nel tempio di Gerusalemme distrutto dai Babilonesi nel 586 avanti Cristo e dai Romani nel 70 dopo Cristo: «Quegli oggetti, come la Menorah, l’Arpa di Davide, il contenitore della manna, sono in parte raffigurati anche sull’Arco di Tito, e rappresentano l’identità del popolo ebraico» dice Procaccia. «Il sofer di Maiorca – spiega Spagnoletto – concluse il suo lavoro di trascrizione tra aprile e maggio del 1325. Nel 1391 le comunità di Barcellona e Maiorca subirono i progrom più duri tra uccisioni, conversioni ed esilio. Poi gli ebrei furono richiamati per essere definitivamente espulsi dalla Spagna nel 1492». E quel libro arrivò in Italia, a Roma, portato da esuli spagnoli. «Tra queste pergamene — dice il rav — si trova anche l’elenco delle famiglie che a turno conservavano nell’Ottocento la raccolta: Volterra, Spizzichino, Modigliani, tra gli altri».
«Questo è uno dei trenta manoscritti più importanti tra quelli che custodiamo qui, e probabilmente uno dei più notevoli tra le raccolte conservate a livello italiano. Per restaurarli tutti, servirebbero circa 120 mila euro» dice Procaccia. E Riccardo Pacifici, presidente della Comunità ebraica romana, conclude: «Non vogliamo essere ricordati soltanto per la grande tragedia della Shoah ma anche per l’immensa produzione culturale del nostro popolo che a Roma si cristallizza anche nello studio di questi antichi testi. E l’archivio è la nostra punta di diamante».
di: Gabriele Isman
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