QUANDO UNA TELEFONATA NON SALVA UNA VITA…

Le scorie elettroniche a base di mercurio, piombo, cadmio, arsenico, fosforo…
rischiano di trasformare l’Africa in una immensa discarica.Smantellata in Spagna una rete criminale che trasportava tonnellate di scorie elettroniche pericolose. Prima alle Canarie e poi sul continente.

Mai posseduto uno di quelli arnesi infernali che di volta in volta vengono chiamati “telefono portatile”, “cellulare”, “smartphone”…o Dio sa cos’altro. Anni fa, ricordo, una ispettrice dell’Inpgi mi segnalava che – stando alle sue ricerche – ero l’unico giornalista iscritto all’ordine (solo pubblicista, tranquilli) privo di tale “indispensabile” aggeggio. Non ho mai avuto modo di verificarlo, ma comunque, se non proprio unico, di sicuro rappresentavo un caso raro. Invece, e purtroppo, nemmeno io sono riuscito a sfuggire al computer. Almeno per ora, ma non dispero (mi sto esercitando con i fumetti, carta e matita).

Negli anni novanta ero perfino riuscito a convincere il grande Vincenzo Sparagna (direttore di “Frigidaire”) che aveva continuato ad accettare i miei articoli su cartaceo e inviati per posta.

Al contrario con Paolo Finzi (A Rivista) non ci fu verso “Se vuoi che continuiamo a pubblicare le tue cazzate (bontà sua! nda) ce le devi inviare per e-mail”. Idem con il giornale diocesano e quindi alla fine (forse sbagliando) accettai il compromesso. Ne recuperai – a gratis – uno di usato, scartato da un parente, entrando mio malgrado nella Modernità.

Detto questo, mi sento autorizzato, almeno in parte, a (ri)sollevare la polemica sulle quantità industriali di cellulari che vanno a inquinare il pianeta in generale e l’Africa in particolare. Un Continente già pesantemente penalizzato in fase estrattiva (vedi per es. il cobalto, il litio…vedi quanto avviene nel Nord-Est della Repubblica democratica del Congo…ne riparleremo)*.

Come ha recentemente ricordato Damien Ghez, giornalista e disegnatore originario del Burkina Faso “le scorie elettroniche contengono mercurio, piombo, cadmio, arsenico e fosforo”. Sostanze nocive, inquinanti che richiederebbero quantomeno “un processo di decontaminazione da parte di imprese specializzate”. Ma questo evidentemente non rientra nei piani (e nei profitti) delle società occidentali che spesso “agiscono in disprezzo delle leggi e dell’impatto ambientale”. Impatto in larga parte scaricato su quei Paesi del (cosiddetto) Sud del Mondo, ridotti al rango di immensa discarica planetaria.

L’occasione per l’intervento del giornalista africano è venuta da un comunicato del Ministero delle finanze spagnolo. Il 3 gennaio è stato annunciato lo smantellamento operato dalla Guardia Civil di una organizzazione criminale che in soli due anni aveva esportato in Africa circa cinquemila tonnellate di “scorie elettroniche pericolose” (in gran parte costituite da cellulari obsoleti). Guadagnandoci sopra qualcosa come un milione di euro e mezzo. Falsificando i documenti sulla provenienza e sul trattamento (in genere presentandoli come “articoli di seconda mano riutilizzabili”) in un primo tempo i carichi tossici venivano spediti alle Canarie. Da qui, per la precisione da Tenerife, proseguivano via mare verso la Mauritania, il Ghana, la Nigeria o il Senegal.

Non è una novità naturalmente. Il caso della Probo Koala che trasportava sostanze tossiche con destinazione Abidjan risale al 2006. Ma forse non ne abbiamo tratto le doverose conclusioni a livello di “principio di precauzione”.

Tanto è vero che periodicamente viene riproposta  la tesi per cui le migliaia di tonnellate di televisori, telefoni e strumenti elettronici spediti in discarica, in realtà rappresenterebbero una risorsa, “una ricca fonte di metalli”. E che “l’estrazione delle scorie elettroniche costituisce in sé stessa un buon affare”. In particolare per l’oro e il rame, secondo vari studi. In questo genere di riciclaggio la Cina sarebbe all’avanguardia (per lo meno a livello di sperimentazione), seguita da Stati Uniti, Unione Europea, Australia e Giappone. Oltretutto, in quanto automatizzabile, richiederebbe molto meno mano d’opera rispetto all’attività mineraria tradizionale.

Sarà, ma quello a cui si assiste è – per dirne una – la commercializzazione ogni anno di nuovi modelli di smartphones sempre più “performanti”. Nella totale indifferenza (“sconnessione” ?) da parte degli entusiasti consumatori seriali per la relazione tra l’acquisto del feticcio e le conseguenze ambientali e sociali così innescate.

Come ricordavano gli Amici della Terra “perfettamente e completamente inseriti nei processi economici della mondializzazione, gli smartphones compiono quattro volte il giro del mondo prima di arrivare nei nostri magazzini e nei negozi”. Calcolando l’estrazione delle materie prime, la fabbricazione dei componenti, l’assemblaggio e la distribuzione.

Ed è ormai risaputo che in ogni fase della loro esistenza (dall’estrazione alla dismissione) tali aggeggi sono causa di gravi danni ambientali in ogni parte del pianeta.

Elencando alla rinfusa “violazioni dei diritti umani, esaurimento di risorse non rinnovabili, sostanze tossiche rilasciate nella biosfera, emissione di gas con conseguente effetto serra…

Abbiamo a che fare con una minaccia incombente, uno stillicidio nei confronti dell’ambiente, della biodiversità e dell’umanità. Se la maggior responsabilità ricade ovviamente sul “Nord” del mondo, non per questo – ci avvisa Damien Ghez – possiamo evitare di identificare i complici nativi che accettano di ricevere quelle mercanzie mortifere.

A conclusione devo informare i miei soliti sei o sette lettori affezionati che attualmente non sono più “l’unico – per quanto solo presunto – giornalista iscritto all’Ordine privo di cellulare”.

Ma solo perché nel frattempo ho restituito la tessera tornando allo stato di puro e semplice free-lance.

Gianni Sartori

http://notiziecristiane.com


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