MILANO – Salvata da una lacrima: l’incredibile storia di Angèle Lieby diventa un libro e rilancia il dibattito sul fine vita con una testimonianza che non può non far riflettere.
Scritto insieme al giornalista Hervé de Chalendar, “Una lacrima mi ha salvato” arriva in Italia a cura delle Edizioni San Paolo dopo essere diventato, in Francia, un caso editoriale da 200 mila copie; il libro racconta in prima persona la vicenda che nel 2009 ha visto l’autrice, all’epoca dei fatti 57.enne, protagonista di un caso raro ma non irripetibile: giunta all’ospedale di Strasburgo con una forte emicrania, Angèle perde man mano le facoltà motorie e conoscenza, convincendo i medici a indurre il coma farmacologico e a comunicare ai familiari che la loro cara è destinata a uno stato vegetativo permanente, mentre in realtà la donna – racconta lei stessa nel libro – in quei momenti è incapace di interagire ma perfettamente cosciente: non ci vede ma sente, prega e comprende perfino la drammatica diagnosi dei medici.Il racconto ripercorre passo per passo la sua percezione dei familiari disperati attorno al letto, il dolore indotto dalle cure e anche la scarsa sensibilità di alcuni medici e operatori, non sempre meticolosi come ci si potrebbe aspettare.
La svolta per la protagonista avviene dodici giorni dopo il ricovero: una buona notizia inaspettata provoca una lacrima, dimostrando il suo stato di coscienza e instradando verso la diagnosi corretta, una sindrome rara ma curabile, per quanto con un lungo percorso di riabilitazione che Angèle, insieme ai familiari, porta avanti con una ferrea forza di volontà fino alla guarigione, a marzo del 2010, otto mesi dopo l’inizio del dramma.
«Quando ho scritto questo libro – spiega l’autrice nell’introduzione – era mia intenzione dar voce a colui che la medicina vuole servire: il paziente. Non si tratta di un saggio di medicina, di un romanzo d’avventura o di una biografia; questa è la storia di una lotta».
La lotta contro l’insensibilità che si riscontra talvolta in chi esercita una professione che è pure, necessariamente, una missione, e non a caso l’autrice ricorda di aver incontrato anche «persone la cui devozione laica era degna dei vangeli» per il loro «amore vero per il prossimo»; la lotta contro la tendenza a guardare la malattia trascurando il malato, quando invece «curare non sarà mai solo un atto tecnico: è anche ascoltare»; la lotta contro un modo di vedere la vita che tende alla semplificazione – lo «staccare la spina» suggerito affrettatamente ben prima del necessario – che nemmeno la scienza dovrebbe permettersi di esercitare.
Attraverso la malattia, a sua volta, Angèle impara: impara ad apprezzare ogni istante, a non etichettare nulla come banale, a tenere nella giusta considerazione quella benedizione che chiamiamo vita. Perché, pur considerandosi «una privilegiata», ammette: «è la vita il miracolo, non io».
Il libro:
Angèle Lieby
Una lacrima mi ha salvato
San Paolo, 2013
160 pagg. – 14,90 euro
Fonte: http://www.evangelici.net/
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