Ritengo sia dovere cristiano fare di tanto in tanto i conti con la triste realtà quotidiana.
Penso così a lui che avrebbe compiuto 15 anni il prossimo 5 febbraio, Ani Guibahi Laurent Barthélémy, il ragazzo ivoriano trovato morto l’altro giorno nel vano del carrello di atterraggio di un aereo francese a Parigi.
Solo un sogno il suo. Un sogno che gli ha gonfiato il petto e lanciato le gambe su quella pista. Il sogno di lasciare il suolo africano, la guerra e la fame, e raggiungere l’Europa e cominciare finalmente ad assaporare il vivere.
Non il primo, né l’ultimo impavido leoncino pronto ad aggrapparsi a quelle ruote come all’ultimo lumicino di speranza. Infine, meglio vivere un giorno da leone … Non poteva salire da passeggero. Per lui solo la clandestinità. Chi si è imbarcato qualche volta, sa quale rumore fa un aereo pronto al decollo. Nel buio totale, non c’era niente a trattenerlo e a farlo desistere.
L’incubo era restare, meglio provare. Mentre qua i nostri figli non hanno idea di cosa sia il sogno di volare, lui ha osato, fino a toccare il cielo con un dito, e poi improvvisamente cadere nel sonno dell’assideramento e svegliarsi in un posto migliore. Sì, perché il sogno di Ani probabilmente si è avverato.
Ha raggiunto la meta, quel posto dove non ci sono i cannibali come noi, gli sciacalli della notizia, gli struzzi che affondano la testa nella terra perché dopotutto è morto solo un figlio di nessuno, uno dei tanti disperati della terra, uno che voleva portare voglia di vivere e speranza per il futuro ad un’Europa sempre più intollerante, povera di valori cristiani e meno giovane.
Per qualche giorno saremo commossi e dispiaciuti. Poi avremo bisogno di un’altra tragedia, forse di un barcone che affondi. Abbiamo perso un altro piccolo grande eroe. Chino il capo davanti a tale grandezza di animo, e chiedo perdono a Dio per la mia pochezza, perché in qualche modo mi sento pur sempre responsabile.
Elpidio Pezzella
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