Riassunto: un ragazzino giapponese è stato abbandonato per punizione dai genitori in zona boscosa. Perduto, è stato fortunatamente ritrovato. Per una settimana i media di tutto il mondo ci hanno inzuppato il pane, come si suol dire, con guaiti e alti lai, tivù nipponica compresa, tanto che il padre del Pollicino ha dovuto scusarsi e chiedere perdono all’intero orbe terracqueo.
E gli è andata pure bene, perché se la storia avesse avuto tragico epilogo sarebbe stato costretto a commettere seppuku in diretta come Mishima. Lettura non emotiva dell’accaduto: pare che il discolo fosse un incorreggibile lanciatore di pietre sulle auto di passaggio e che i genitori, vista l’inanità delle prediche, hanno fatto quel che anch’io avrei fatto al loro posto. Cioè: disgraziato, adesso hai rotto, la misura è colma; o la smetti una buona volta o ti pianto qui e me ne vado. Questo, per non voler ricorrere agli scapaccioni. Poi, avrei finto di allontanarmi per dar seguito alla minaccia.
Un bambino normale, di solito, dopo qualche minuto supera la stizza e, frignando, corre nella direzione in cui i genitori sono scomparsi alla vista. Questi si fanno trovare e tutto finisce con un definitivo ammonimento. Sì, perché tirare sassi sulle macchine non è un capriccetto perdonabile, è cosa grave, ci può scappare il morto, è pure reato perfino in Giappone. La miglior dimostrazione che quel bambino è realmente incorreggibile l’ha data il fatto che, lungi dallo spaventarsi, è rimasto ostile ai genitori e «gliel’ha fatta pagare» eclissandosi. Insomma, un tipo poco raccomandabile in erba. Da prendere non a scapaccioni ma a calci nel deretano. Risultato: mezza polizia nipponica sulle sue tracce per una settimana, con una spesa per il contribuente tutta da verificare.
La conclamata efficienza giapponese, pur con cani “molecolari” ed elicotteri, ha fatto solo ridere. Il pargolo è stato trovato da uno che neanche lo cercava e nel posto più logico: un deposito abbandonato dell’esercito. Respiro mondiale di sollievo con foto del farabuttello ilare che fa il segno della vittoria. Sì, perché ha vinto lui. Il padre, in lacrime, a capo chino a chiedere scusa per l’ennesima volta. Giri canale e trovi un film sull’addestramento dei marines. Spietato e con punte di efferatezza. Applausi anche qui, perché i duri vanno forgiati. Insomma, una pedagogia schizofrenica. Come quella che loda il medico che salva un feto in extremis tramite arditissime e funamboliche operazioni tecno-chirurgiche. E punisce chi obietta in coscienza all’aborto. Ma sorvoliamo su questa vecchia storia.
Ci chiediamo, tuttavia, dov’è finito il Giappone delle durissime scuole dei samurai, che allevava i bambini a frusta e bastone. Dove sia finito l’Occidente già lo sappiamo. Eppure non sono lontanissimi i tempi in cui i giovani delle classi alte venivano educati in collegi ferrei, e poi se vantavano pure, con le damine e i colleghi, gareggiando a chi avesse frequentato il più difficile. È così che quattro gatti inglesi hanno creato e tenuto per secoli l’impero più vasto della storia, coi loro ufficialetti diciottenni che doppiavano Capo Horn a vela o affrontavano i cinquanta gradi dell’India nelle loro giubbe di lana abbottonate fino al collo. Rule Britannia. E oggi America. Quanto al ragazzino giapponese dal temperamento diciamo così un po’ vivace, un’educazione collettiva all’indisciplina e a «essere se stesso senza traumi e costrizioni» lo porterà, se continua così, là dove lo porta il cuore. A un futuro nelle patrie galere.
di Rino Cammilleri | Lanuovabq.it
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