Quante volte il testo di un inno ci tocca il cuore! Spesso ci capita di cantare un inno, soprattutto, i vecchi inni, un po’ apaticamente, per abitudine, senza badare al messaggio che reca.
In seguito, però, una situazione difficile, una prova particolare o un particolare bisogno ci inducono a prestare più attenzione a questi canti, che allora si presentano a noi; come una rivelazione, come se sentissimo per la prima volta quelle parole, così profonde da giungere a scalfire il nostro cuore. Improvvisamente il Signore ci parla chiaramente attraverso quel testo che conoscevamo forse a memoria, ma al cui significato non abbiamo mai prestato attenzione.
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Nel momento della prova quelle parole tornano alla nostra mente e assieme alla musica del canto, non ci abbandonano più, ci accompagnano fintantoché avremo bisogno di conforto, realizzando che, forse, anche l’autore dell’inno si era trovato nella nostra stessa situazione. Eppure, solo raramente, ci si chiede quale sia stata la storia che ha condotto l’autore a scrivere quel determinato canto.
Nonostante negli ultimi anni questo principio stia venendo meno, la composizione del testo ha sempre preceduto quella musicale.
Il testo è il vero canto, la musica ne è sempre stata solo il veicolo, l’ancella della parola.
In passato, quindi, gli inni seguivano una struttura metrica ben precisa, in quanto ad esso poteva venire applicato un tema musicale qualsiasi, a patto che riprendesse lo stesso schema metrico, proprio come fosse un vestito; è per questo motivo che molti canti — alcuni anche in italiano — possiedono più versioni del testo, quelli che in musica vengono chiamati tecnicamentecontrafaact.
Pertanto, quando si vuole indagare sulla storia di un canto, bisogna tener presente che, solitamente, l’autore del testo non è anche il compositore della musica.
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L’autore, toccato dal Signore, scriveva un testo poetico per esternare un determinato sentimento per esempio di lode, o di ringraziamento, oppure per fini didattici, in modo da creare un testo facilmente memorizzabile che contenesse le principali verità di fede del credente.
Tutto ciò, però, non implicava necessariamente che il testo dovesse essere musicato. Esso poteva essere pubblicato e letto, condiviso con i fratelli, o memorizzato, ma molto spesso veniva pubblicato per la lettura devota, proprio come si leggerebbe una comune poesia. Molto spesso accadeva che un musicista cristiano venisse a conoscenza di questi testi e così decidesse di musicarli, in modo da poterli cantare.
L’autore, toccato dal Signore, scriveva un testo poetico per esternare un determinato sentimento per esempio di lode, o di ringraziamento, oppure per fini didattici, in modo da creare un testo facilmente memorizzabile che contenesse le principali verità di fede del credente.
Tutto ciò, però, non implicava necessariamente che il testo dovesse essere musicato. Esso poteva essere pubblicato e letto, condiviso con i fratelli, o memorizzato, ma molto spesso veniva pubblicato per la lettura devota, proprio come si leggerebbe una comune poesia. Molto spesso accadeva che un musicista cristiano venisse a conoscenza di questi testi e così decidesse di musicarli, in modo da poterli cantare.
Probabilmente, Fanny Crosby fu la scrittrice di inni più prolifica nella storia. Scrisse il testo di più di ottomila inni, la stragrande maggioranza dei quali furono musicati. La sua umiltà la indusse, nel momento della pubblicazione di questi inni, che nascevano come testi poetici, molto spesso a scopo evangelistico, ad usare pseudonimi per celare la propria identità.
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Di lei si contano più di duecento diversi pseudonimi usati nelle raccolte di inni o nelle singole pubblicazioni su riviste cristiane. Le capitò di scrivere fino a sette inni o poesie al giorno, quando era presa dal fervore della lode. Scrisse talmente tanti testi che, in molte occasioni, udendo cantare un inno mai sentito, chiedeva chi ne fosse l’autore, per poi scoprire che il testo era suo.
Frances Jane Crosby nacque in una famiglia di forte fede puritana il 24 Maggio 1820.
Da bambina fu colpita da un’infezione oculare, e curata da un medico incompetente, tanto da causarle la cecità.
Pochi mesi dopo suo padre si ammalò gravemente e morì, così sua madre, una giovane di ventuno anni, fu costretta a lavorare lontano da casa come cameriera e Fanny andò a stare dalla nonna Eunice, la quale non solo si preoccupò di educare Fanny negli insegnamenti umani, ma si prese soprattutto cura del suo spirito.
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Nonna Eunice le leggeva la Bibbia e gliela spiegava con cura, dando enfasi all’importanza della preghiera.
Quando, infatti, Fanny realizzò con tristezza di non poter imparare come fanno gli altri bambini, Nonna Eunice le insegnò a pregare chiedendo a Dio la conoscenza.
Anche un’altra donna ebbe un ruolo importante nella vita di Fanny. Questa fu la signora Hawley, la quale aiutò la giovane a memorizzare la Bibbia, e il Signore premiava la fede della piccola dandole la capacità di memorizzare fino a cinque capitoli alla settimana. Fanny sviluppò una memoria tale da stupire i suoi amici.
La cecità non la faceva sentire diversa dagli altri, infatti a otto anni compose i seguenti versi: “Oh, che bambina felice sono, anche se non posso vedere! Sono decisa ad essere felice in questo mondo! Di quante benedizioni che gli altri non hanno posso godere! Così non riesco — né voglio — piangere o sospirare per la mia cecità “.
Nel 1834 venne a conoscenza dell’Istituto per ciechi di New York e capì che questa era la risposta alle sue preghiere. Entrò nell’Istituto a dodici anni e vi rimase come insegnante. Nel marzo del 1858, Fanny sposò Alexander Van Alystyne, un ex allievo dell’Istituto che allora vi lavorava come insegnante. Era uno dei migliori organisti di New York. Anche Fanny era una brava musicista, infatti, sapeva suonare l’arpa in modo eccellente, suonava il pianoforte ed aveva una bella voce di soprano.
Anche in tarda età (visse fino a 95 anni) era solita sedere al pianoforte e suonare di tutto, dai brani di musica classica, agli inni, fino al ragtime. Alle volte, persino, si dilettava a suonare i vecchi inni in stile jazz.
Dopo il matrimonio, Fanny lasciò l’Istituto e dopo alcuni anni cominciò a dedicarsi a quella che sarebbe divenuta la propria vocazione, comporre inni, tanto che si accordò con un editore: avrebbe scritto tre inni alla settimana da usare nelle pubblicazioni per la Scuola Domenicale.
Nonostante Fanny fosse in grado di comporre poesia piuttosto complessa e di improvvisare musica con una struttura classica, i suoi inni avevano come scopo quello di recare il messaggio dell’Evangelo a persone che non erano solite ascoltare le prediche in chiesa, quindi i suoi testi erano scritti in un linguaggio semplice e diretto. Ogni qualvolta scriveva un inno, pregava Dio affinché se ne servisse per condurre a Sé più anime possibili.
Quando ancora era in vita, il gruppo evangelistico di Dwight L. Moody e Ira D. Sankey presentò gli inni di Fanny alle folle di persone che assistevano alle riunioni evangelistiche, e Fanny fu molto attiva nel Movimento di Santità, un movimento in seno alle chiese evangeliche per la ricerca di una più profonda esperienza spirituale con Dio. Anche oggi, molti dei suoi inni continuano a condurre anime a Cristo, dando loro salvezza e conforto. Alcuni dei suoi inni, che oggi cantiamo in Italia, sono: “Lieta certezza”, “A Dio sia la gloria”, “Sicura in man di Cristo”, “Oh, Gesù, solo tu sei la mia vittoria”, ed altri ancora.
Fino agli ultimi giorni della sua vita, nel 1915, Fanny fu impegnata nel lavoro missionario tra i poveri d’America. La sua visione fu quella di portare le persone a Cristo non solo con i suoi inni, ma anche con la propria testimonianza di vita.
Sulla sua cecità, Fanny disse: “Sembra che la benedetta provvidenza di Dio abbia voluto che io fossi cieca per tutta la vita, e ringrazio Dio per ciò. Se domani mi venisse offerta una vista umana, la rifiuterei. Non sarei mai riuscita a scrivere inni alla gloria di Dio, se fossi stata distratta dalle cose belle ed interessanti attorno a me… Se potessi scegliere, sceglierei comunque di rimanere cieca… perché, quando morirò il primo volto che avrò mai visto sarà il volto del mio benedetto Salvatore.”
Fanny era caratterizzata da un forte spirito missionario ed incoraggiava la ricerca di un risveglio di potenza in seno alla chiesa del Signore, il risveglio che sarebbe scaturito nel Risveglio Pentecostale del 1906.
In un bellissimo canto appassionato possiamo leggere il desiderio di Fanny per il desiderio che la Chiesa di Cristo potesse finalmente risvegliarsi ed uscire dall’ombra per evangelizzare il mondo. Eccone alcuni versi:
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Svegliatevi! Svegliatevi!
Il Maestro ci chiama!
Alzatevi! Alzatevi!
E, confidando nella Sua Parola,
Avanzate! Avanzate!
Proclamate l’anno di giubilo,
E prendete la croce,
la benedetta croce di Cristo nostro Signore.
Su, Su, canta il coro,
Su, Su, la stella del mattino brilla su di noi;
Su, su, mentre davanti a noi,
Il nostro potente Salvatore ci conduce.
Gloria Gloria, ascolta il coro eterno,
Grida: “Osanna” mentre audaci marciamo;
Soldati fedeli di quaggiù,
solo Gesù riconosciamo,
e gridiamo al mondo: “Salvezza gratuita!” |
Frances Jane Van Alystyne
(Fanny Crosby) 1820-1915 |
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da: “Risveglio Pentecostale” |
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