Non ci sono dubbi: dovessimo fare la top ten delle notizie più sorprendenti della settimana, in cima ci sarebbe lui, Michi, il ragazzino milanese quattordicenne, tornato miracolosamente in vita dalle acque ghiacciate del Naviglio Grande.
Rimasto per 42 minuti intrappolato nei fondali fangosi del canale dove s’era tuffato, in un pomeriggio tropo caldo e assolato. L’agonia dura solo pochi secondi, ma è un’eternità per chi non è stato fatto come i pesci capace di tramutare l’acqua in ossigeno. Quando è stato ripescato, Michi era “morto”da almeno venticinque minuti, questo la scienza: non più di venti sono i minuti in cui si può sopravvivere in immersione. I sommozzatori lo hanno portato fuori più del doppio sopra la soglia concessa dai medici a ogni ragionevole speranza. Eppure oggi il ragazzino è vivo, perfettamente cosciente senza che quei 42 minuti vissuti da pesce abbiano intaccato il cervello, sorride a genitori e amici e affronta con nuova speranza il lungo cammino della riabilitazione (in ospedale hanno dovuto amputargli una gamba).
«Se avessimo applicato rigidamente le procedure, il ragazzo sarebbe morto», ha dichiarato Alberto Zangrillo, il medico responsabile della Rianimazione dell’ospedale San Raffaele di Milano dove Michi è stato portato. La sua equipe ha tentato un intervento per la medicina “totalmente irrazionale” e senza precedenti, salvo un mai verificato caso che si dice successo anni fa nel Mare del Nord. Coraggioso, certo, ma scientificamente folle e privo di ogni chance di riuscita, secondo le “procedure codificate dalla letteratura della rianimazione e decenni di pratica chirurgica. Ma Michi è vivo, alla faccia di tutti i protocolli stabiliti dalla tecnoscienza. Miracolo o soltanto casuale e irripetibile eccezione alle leggi della biomedicina? Già, a volte succede e Michi ha ripercorso al contrario la strada della celebre mela di Newton: caduta a terra, beffando la gravità, ha levitato verso l’alto fino a riattaccarsi al ramo perduto. Con grande scorno di leggi e leggine. Miracolo? Il confine tra il prodigio inspiegabile con i soliti concetti e il reale, lo sperimentato della scienza qui è labile e incerto. A dispetto dei dogmi di irriducibili razionalisti e scienziati “non scientifici” che si ostinano a negare quel che non riescono a prevedere.
Ma, appunto, sono dogmi, più granitici di quelli della fede. La scienza vive nel dubbio e il silenzio dello scienziato sull’inspiegabile della vita sarebbe pure accettabile se servisse ad arrendersi a un Mistero che niente e nessuno potrà mai possedere. MIchi era “morto”, oggi è tornato. Vivo grazie al capo dell’equipe di rianimazione del San Raffaele: ha voluto sfidare l’irrazionale e l’impossibile, quello prescritto dalle più prestigiose riviste scientifiche del mondo, ma pure dalla sua quotidiana pratica di camere iperbariche, massaggi cardiaci e interventi sul filo della vita. Lassù qualcuno gli ha forzato la mano: quando il ragazzino è stato ripescato, il cuore era fermo e il sangue non circolava più: per questo i polmoni non si sono riempiti d’acqua. Ma poi il chirurgo ci ha messo del suo, non ha chiuso subito i conti con la scienza e con la Provvidenza, non ha scartato l’idea che si potesse tentare qualcosa di impossibile, o meglio, di possibile (è lo stesso, ma suona meglio perché spinge all’azione). Attacca il ragazzo all’Ecmo, un “super bypass” che drena il sangue del paziente, lo riscalda, lo ossigena e lo rimette in circolazione. C’è una possibilità su un milione che la cosa funzioni, ma c’è. Di nuovo la scienza, a strappare la “resurrezione” di Michi al mondo fosco dei miracoli per restituirlo a quello certo e chiaro della medicina.
A rimettere insieme i due mondi ci ha pensato la madre: «Michi è rimasto nelle mani di Dio e dei medici», ha detto, «e ognuno, per le sue capacità, ha dato il massimo». Beh, piacerebbe anche al professor Veronesi l’ironia di questa donna che pare aver visto giusto e capito tutto. Dio e i medici, ciascuno per quanto potevano, non si sono risparmiati: l’intuizione fulminante della mamma vale più di un intero simposio su scienza e fede, ragione e guarigione. Dio ha bisogno degli uomini, a patto che questi accettino di collaborare. E solo l’umile povertà, o la grande sapienza di quella mamma, conviene alla ragione quando confessa che al mondo c’è dell’Altro e noi non ci siamo fatti da soli. Il Mistero è semplice per chi lo vuole vedere. Anzi, è lui che ci guarda. Niente è di troppo per gli uomini e nulla a Dio è impossibile. Neppure, pensate un po’, la “resurrezione” di Michi, anche se i medici “tecnicamente” la chiamano “risveglio”.
di Luigi Santambrogio
da: lanuovabq.it/
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