Quali sono i principali insegnamenti ed esortazioni per Israele all’epoca di Isaia?

Gli insegnamenti principali per il popolo di Israele ai tempi del profeta Isaia sono che:

  1. la trasgressione, dalle labbra impure, nei confronti di Dio produce lo stato di morte permanente ma c’è una speranza per chi prende atto e consapevolezza del proprio stato di essere un peccatore e che il peccato lo separa dalla presenza di Dio;
  2. di versare nello stato di perduto alla presenza di Dio riconoscendo la conseguenza che questo ha nella sua vita e la causa che ha degenerato questa condizione così che può essere perdonato e riconciliato sulla base dell’espiazione come “prezzo di riscatto”. Infatti l’effetto immediato dell’espiazione è la riconciliazione che permette di passare dallo stato di “peccatore” a quello di “redento” cioè di “riconciliato” per essere unito a Dio.

L’esortazione che il profeta Isaia dà al popolo di Israele è quella di “riconoscere la santità di Dio” e di scegliere di vivere “appartati” alla sua presenza e nelle sue leggi abbandonando il peccato delle “labbra impure” che era la problematica del popolo di Israele in quel tempo storico.

Isaia attraverso i suddetti passi biblici (6:1,13 “ Nell’anno della morte del re Uzzia, vidi il Signore seduto sopra un trono alto, molto elevato, e i lembi del suo mantello riempivano il tempio. Sopra di lui stavano dei serafini, ognuno dei quali aveva sei ali; con due si copriva la faccia, con due si copriva i piedi, e con due volava. L’uno gridava all’altro e diceva: «Santo, santo, santo è il Signore degli eserciti! Tutta la terra è piena della sua gloria!» Le porte furono scosse fin dalle loro fondamenta dalla voce di loro che gridavano, e la casa fu piena di fumo. Allora io dissi: «Guai a me, sono perduto! Perché io sono un uomo dalle labbra impure e abito in mezzo a un popolo dalle labbra impure; e i miei occhi hanno visto il Re, il Signore degli eserciti!» Ma uno dei serafini volò verso di me, tenendo in mano un carbone ardente, tolto con le molle dall’altare. Mi toccò con esso la bocca, e disse: «Ecco, questo ti ha toccato le labbra, la tua iniquità è tolta e il tuo peccato è espiato». Poi udii la voce del Signore che diceva: «Chi manderò? E chi andrà per noi?» Allora io risposi: «Eccomi, manda me!» Ed egli disse: «Va’, e di’ a questo popolo: “Ascoltate, sì, ma senza capire; guardate, sì, ma senza discernere!” Rendi insensibile il cuore di questo popolo, rendigli duri gli orecchi, e chiudigli gli occhi, in modo che non veda con i suoi occhi, non oda con i suoi orecchi, non intenda con il cuore, non si converta e non sia guarito!»
E io dissi: «Fino a quando, Signore?» Egli rispose: «Finché le città siano devastate, senza abitanti,
non vi sia più nessuno nelle case, e il paese sia ridotto in desolazione; finché il Signore abbia allontanato gli uomini, e la solitudine sia grande in mezzo al paese. Se vi rimane ancora un decimo della popolazione, esso a sua volta sarà distrutto; ma, come al terebinto e alla quercia, quando sono abbattuti, rimane il ceppo, così rimarrà al popolo, come ceppo, una discendenza santa»“) evidenzia e sottolinea il tema della morte che apparentemente sembra segnare la fine, è da sottolineare la parola sembra perché in realtà non è così in quanto “la morte non ha l’ultima parola”.

C’è il racconto del re Uzzia, viene menzionata la sua trasgressione che commette entrando nella casa del Signore dove non aveva diritto di entrare essendo un laico e così diviene impuro al cospetto di Dio, meritevole della sua disapprovazione e del suo giudizio divino. Alla fine della narrazione il re muore impuro perché aveva perso i limiti della grazia in quanto aveva disprezzato la parola del Signore e non si era redento così l’ira di Dio si era abbattuta contro di lui colpendolo con la sua giustizia e facendolo cadere nelle mani di un nemico invincibile la “morte permanente” (5:13,17 “Perciò il mio popolo sarà deportato senza che neppure lo sospetti. I suoi grandi periranno di fame, il suo popolo sarà arso dalla sete. Pertanto gli inferi dilatano le fauci, spalancano senza misura la bocca. Vi precipitano dentro la nobiltà e il popolo, il frastuono e la gioia della città. L’uomo sarà umiliato, il mortale sarà abbassato, gli occhi dei superbi si abbasseranno. Sarà esaltato il Signore degli eserciti nel giudizio e il Dio santo si mostrerà santo nella giustizia. .Allora vi pascoleranno gli agnelli come nei loro prati, sulle rovine brucheranno i capretti”).

Questa conclusione lascia presumere che non c’è più speranza dinnanzi all’inevitabile giudizio di morte ma ecco che invece compare una nuova luce che cambia la visione sullo stato di morte permanente dandone una nuova sfaccettatura sotto una nuova prospettiva che induce a prendere consapevolezza di una realtà che viene offerta e invita a fare una scelta di cambiamento individuale per afferrarla e entrare in uno stato dove il rapporto con il Signore può essere recuperato.

Nel contesto di questa narrazione il simbolismo del re che muore conduce ad una visione di Dio tripartita:

1) la santità del Signore con le sue conseguenze per il destino di Isaia e del suo popolo (Isaia 1:5 “Per quale ragione colpirvi ancora? Aggiungereste altre rivolte. Tutto il capo è malato, tutto il cuore è languente”);

2) l’espiazione da parte del Signore che purifica e ristabilisce (Isaia 9:13 “Perciò il Signore reciderà da Israele capo e coda, palma e giunco, in un medesimo giorno”);

3) il piano del Signore e il ministerio di Isaia in esso compreso.

Anche se nessuno può vedere Dio in quanto spirito, Isaia invita a vederlo (come ha fatto anche lui) con gli occhi spirituali della fede e in tutta la sua regalità esaltata cioè nel riconoscere la sovranità e il primato di Dio e nel divenire consapevoli della nostra posizione quali servitori che ci adoperiamo nel fare la sua volontà per la nostra vita anche quando non collima con la nostra volontà.

C’è ancora una speranza per ognuno di noi, quella di ritornare al Signore nostro Dio e di cercarlo con tutto il nostro cuore, di pentirci, di ravvederci e di convertirci a Lui. Scegliamo di non voler commettere lo stesso errore, che commise, il popolo di Israele scegliendo di rimanere nella loro condizione di peccatori e questo gli causò un giudizio divino non favorevole (Osea 7:10:16 “L’orgoglio d’Israele testimonia contro di lui, ma essi non tornano al Signore loro Dio e non lo cercano, nonostante tutto questo. Efraim è come una colomba stupida e senza giudizio; essi invocano l’Egitto, vanno in Assiria. Mentre andranno, io stenderò su di loro la mia rete; ve li farò cadere, come gli uccelli del cielo; li castigherò, come è stato annunciato alla loro comunità. Guai a loro, perché si sono sviati da me! Rovina su di loro, perché si sono ribellati a me! Io li salverei,
ma essi dicono menzogne contro di me. Essi non gridano a me con il loro cuore, ma si lamentano sui loro letti; si radunano ansiosi per il grano, il vino e si ribellano a me! Io li ho educati, ho rinvigorito le loro braccia, ma essi tramano del male contro di me. Essi tornano, ma non a chi è in alto; sono diventati come un arco fallace; i loro capi cadranno per la spada, a motivo della rabbia della loro lingua; nel paese d’Egitto si faranno beffe di loro”). Scegliamo, invece, il Signore Gesù Cristo quale Re della nostra vita affinché possiamo essere “riconciliati” per mezzo della nostra fede e per virtù della giustificazione per fede a Dio Padre e ottenere così il “perdono dal peccato” per mezzo del quale la nostra alleanza con Dio è stata spezzata ma può essere restaurata, rinnovata.

Conclusioni:

Ebrei 12:25 “Badate di non rifiutarvi d’ascoltare Colui che parla; perché se non scamparono quelli, quando rifiutarono d’ascoltare Colui che promulgava oracoli sulla terra, molto meno scamperemo noi, se voltiamo le spalle a Colui che parla dal cielo”.

Luisa Lanzarotta


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