Quale strada per la felicità?

Facciamo un poco di chiarezza sulla felicità. La carenza di senso nella vita, le situazioni che incutono provvisorietà nella vita, stati di insoddisfazione e paure varie che determinano stati psicologici di depressione spingono le persone a trovare la strada della felicità. Al contempo fiumi di manuali e libri vari parlano di felicità, dicono cos’è e dicono come cercarla, creando un’aspettativa irrealistica confondono la generalità del concetto con la soggettività di esso. Ognuno ha la sua strada. Il dato maggiormente preoccupante è il moralismo che si cela dietro le tante istruzioni per essere felici. Personalmente credo che bisogna fare attenzione al moralismo di chi dice, ad esempio, che i soldi non fanno la felicità, che avere una certa condizione di agiatezza non crei felicità, per chi afferma di essere felice nel possedere una bella casa, una buona relazione, una condizione sociale privilegiata, un buon stipendio ecc. Bisogna fare chiarezza e avere consapevolezza della soggettività di ognuno, senza moralismi. Un certo moralismo non fa altro che creare un senso di colpa di chi magari afferma la sua felicità per quello che ha. Una cosa è moralizzare e l’altra è rendere consapevoli le persone. A ben vedere neanche Gesù, il maestro per eccellenza della tradizione cristiana, ha cercato di moralizzare, nei suoi insegnamenti, attraverso detti e parabole varie, ha risvegliato la coscienza di ognuno ad essere attenti a non cadere nel gioco di certi moralismi ma a vivere una dimensione di accoglienza, accettazione e rispetto per l’altro, per la sua diversità, per le sue credenze e convinzioni: «non giudicate e non sarete giudicati» (Mt 7, 1). Del resto nella psicoterapeutica di Gesù non vi è nessun obbligo lasciando ad ognuno la libertà di scegliere la propria strada: «Chi mi vuol seguire rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua». Mc 8, 27-35 (Riccardi. P. parole che trasformano, psicoterapia dal vangelo, ed. Cittadella, Assisi, 2016). Nel tornare alla nastra riflessione chiediamoci se siamo consapevoli che può esistere, per molti, una felicità che derivi dall’esterno, da ciò che abbiamo; ed una felicità che è indifferente dall’esterno e deriva da una consapevolezza della propria interiorità. Anche in questo caso, non moralizziamo né critichiamo ma semplicemente diventiamo consapevoli dal profondo a quale posizioni apparteniamo. Perché se non siamo consapevoli dal profondo tendiamo, inconsciamente ad essere persone invidiose, gelose delle cose altrui, dei traguardi degli altri ecc. Chi ha una visione profonda e spirituale della vita sa che il tipo di felicità che derivi dalla strada dell’esterno è limitata, precaria, non duratura perciò Gesù ha suggerito: «Non accumulatevi tesori sulla terra, dove tignola e ruggine consumano» (Mt, 6,19).

Tutto dipende dal proprio modo di pensare, dalle proprie credenze, dalle proprie convinzioni di vita per cui sviluppiamo una mente critica a riguardo perché «Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro ma ciò che esce da lui» (Mt 7, 14-23). In definitiva ci sono due strade per cercare la felicità una riguarda la mente materialistica, l’altra la mente spirituale. La visione della mente materialistica è più fragile, più soggetta a condizionamenti perché di base vi è la pura di non essere felici. Per essere felici quindi dovremmo coltivare un approccio intelligente e critico, teso ad osservare i vari punti di vista. Avere una mente aperta che va oltre la diffidenza, oltre la sospettosità, oltre la paura di non essere felici. Una mente che vede nell’amore di se la logica del potere dell’Io.

Senza disdegnare la strada che ognuno sceglie nella vita, per essere felici bisogna, di tanto in tanto, non arroccarsi nel proprio Io: non diventare schiavo del proprio narcisismo. Papa Francesco, nell’intervista del 10 gennaio, ha affermato di “cancellare l’io” contro l’indifferenza per il bene di tutti.

Pasquale Riccardi


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