Si fa strada la consapevolezza dei danni provocati dai farmaci bloccanti della pubertà: da Gran Bretagna, alcuni Stati federati Usa, Svezia, Finlandia, Australia, Francia e Norvegia i primi segnali dell’inversione di rotta, per la reazione di una parte del mondo sanitario. L’Economist denuncia: «Troppa leggerezza nel valutare gli effetti collaterali».
La transizione di genere è un elemento inesorabile della modernità e si identifica con le magnifiche e progressive sorti dell’umanità?
I profeti del radical chic sembrano considerare la transizione di genere un elemento essenziale dell’ineluttabile percorso che, fatalmente, porterà al riconoscimento di nuovi “diritti”. Tuttavia, lo stesso mondo progressista è diviso fra una componente favorevole all’adozione dell’agenda gender, rappresentata da correnti del movimento Lgbtq+, e numerosi segmenti delle associazioni femministe che la avversano. C’è anche una buona parte del mondo “Lgb” che si oppone all’ideologia transessualista accusandola addirittura di omofobia perché – dicono – spinge le persone omosessuali a “cambiar sesso” per far loro recuperare in qualche modo l’eterosessualità.
Certamente, negli ultimi dieci anni il numero di minori che “cambiano sesso” è andato moltiplicandosi in modo esponenziale.
Ha fatto però enorme scalpore un’inchiesta di The Economist pubblicata lo scorso 5 aprile. Il settimanale, certamente non annoverabile fra la stampa conservatrice, ha parlato di autentica «tragedia» americana: sono sempre più numerosi i casi di persone pentite della transizione avvenuta sul proprio corpo a causa della «leggerezza della scienza nel valutare gli effetti collaterali della medicina di genere».
Negli Stati nei quali la transizione di genere era stata promossa da legislazioni e/o praticata spregiudicatamente dagli ospedali si assiste sempre più spesso ad una significativa battuta d’arresto in seguito ai gravi danni sulla salute riportati da numerosi transgender.
In Australia, nel 2016 suscitò grande scalpore una dichiarazione del sottosegretario del ministero dell’Educazione dello Stato del Nuovo Galles del Sud, Gregory Prior: «Ci sono diversi studenti che stanno attraversando una transizione di genere, il più giovane dei quali attualmente ha quattro anni».
Si trattava davvero di un bambino di quattro anni! Più recentemente, le cronache hanno dato notizia di un’inversione di marcia. Nel 2022, una donna di Sydney, Jay Langadinos, ha citato in giudizio il suo psichiatra Patrick Toohey per negligenza professionale. Dopo essere stata sottoposta ad un trattamento di terapia ormonale da parte del medico, resasi conto che la sua transizione è diventata irreversibile, ha dichiarato sconvolta alle testate: «Venire a conoscenza che non posso avere bambini è assolutamente devastante».
In Gran Bretagna, una significativa lettera aperta indirizzata a Lizzie Streeter, manager del programma Lgbt del Servizio Sanitario (Nhs), firmata da 300 ostetriche e infermiere promossa dal gruppo With Woman, ha impedito la realizzazione del corso di formazione per «persone trans e non binarie che partoriscono» in 40 strutture del Servizio Sanitario inglese Nhs. The Telegraph ha parlato di «rivolta delle ostetriche».
Sempre nel Regno Unito, alcune testate hanno scritto dell’imminente chiusura della clinica di genere Tavistock & Portman, imputata nel processo intentato da Keira Bell, che l’ha vinto. La ormai famosa detransitioner era stata sottoposta ad una terapia ormonale e a doppia mastectomia all’età di 16 anni e ora è un’icona.
Negli Stati Uniti, 3.000 pediatri hanno intentato una causa giudiziaria all’amministrazione Biden. L’oggetto della controversia è l’interpretazione dell’Affordable Care Act che, secondo le prassi consolidate, costringe i medici a prescrivere farmaci ai minori per la “transizione di genere” o a effettuare interventi chirurgici.
La causa American College of Pediatricians v. Becerra porta in giudizio Xavier Becerra, segretario alla Salute e ai Servizi umani. Per l’avvocato Ryan Bangert, che tutela i pediatri, «forzare i medici a prescrivere trattamenti ormonali a ragazzi di 13 anni o a sottoporli a interventi chirurgici che alterano la vita di questi adolescenti è illegale, immorale, pericoloso». Al momento, con la Florida ci sono una decina di altri Stati federati che sfidano l’amministrazione Biden vietando la somministrazione di bloccanti e/o ormoni ai minori.
Nella stessa Norvegia, dove la legge consente ai bambini di sei anni di cambiare genere, la commissione governativa Norwegian Healthcare Investigation Board sulla Sicurezza dei pazienti per i bambini e i giovani con incongruenza di genere ha sottolineato di conoscere ben poco sugli «effetti nel lungo periodo dei bloccanti della pubertà e degli effetti collaterali del trattamento con gli ormoni».
Particolarmente interessante è il caso della Svezia, anch’essa fra i pionieri della transizione di genere. Qui le cliniche pediatriche di genere saranno dimezzate, da sei a tre. Sulla tv pubblica Sveriges Television, la Karolinska Institutet, il principale ospedale per la transizione dei minori, ha riconosciuto pubblicamente di avere danneggiato la salute degli adolescenti. In particolare, si è dichiarato responsabile dei danni provocati a Leo, una bambina di undici anni, vittima di «gravi lesioni», osteoporosi e alterazioni vertebrali.
In Finlandia, dal giugno 2020, The Council for Choices in Health Care in Finland (Cohere) ha diramato le linee guida sui trattamenti medici da adottare nei casi di disforia nei minori, privilegiando nettamente i colloqui psicologici agli interventi invasivi e ai trattamenti ormonali.
Ora, commenterebbe Gilbert Keith Chesterton, si continua a combattere per dimostrare che l’erba è verde: perché è un dato di realtà intuire che l’introduzione nel corpo di un adolescente maschio o femmina di farmaci che interrompono lo sviluppo puberale costituisce un danno per la sua salute. Occorre però chiedersi cosa sarà della vita di tutti questi ragazzi la cui esistenza è stata definitivamente rovinata. Si tratta di cavie di un progetto eugenetico delle élites politico-finanziarie per ridurre la popolazione mondiale? O di meri oggetti di esperimenti clinici per vedere l’esito di terapie solo sperimentali? Forse sono vittime degli interessi finanziari di grandi case farmaceutiche?
E questa trasformazione fisica viene pagata con il dolore dalle ragazze e dei ragazzi in crisi di identità, appartenenti per lo più a ceti sociali più svantaggiati e permeabili ai messaggi trash del sistema politico-mediatico e dei suoi influencer: un sistema che oggi li esalta come pionieri del domani e che, dopodomani, li getterà via come prodotti non più utili.
Articolo a firma di Simone Ortolani, già pubblicato sulla Rivista Notizie Pro Vita & Famiglia n. 119 – Giugno 2023
https://www.provitaefamiglia.it/blog/qualcuno-si-e-accorto-che-la-transizione-fa-male
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