Di fronte ad una diagnosi di tumore maligno, nonostante i progressi della scienza medica, quando non c’è scelta e non è in nostro potere scegliere la vita ed evitare la morte, vivere o morire comincia ad assumere un altro significato “Ora come sempre, Cristo sarà glorificato nel mio corpo, sia con la vita, sia con la morte. Infatti per me il vivere è Cristo, e il morire guadagno” (Lettera ai Filippesi 1:20,21) Sembra semplice affermare quanto contenuto in questo testo della Parola di Dio. A volte però ci vuole la giusta prospettiva per vedere bene le cose. Cosa vuole dire veramente l’apostolo Paolo con queste parole? Di fronte ad una diagnosi di tumore maligno, nonostante i progressi della scienza medica, quando non c’è scelta e non è in nostro potere scegliere la vita ed evitare la morte, vivere o morire comincia ad assumere un altro significato. Oppure quando una disgrazia sopraggiunge e viene a mancare una persona amata, e la parola morire prende il sopravvento sulla parola vivere, ecco che il loro significato sembra mutare nella nostra mente, e non solo nel senso etimologico. E di fronte ai credenti che sprecano la loro vita, senza preoccuparsi che la loro intera esistenza glorifichi Cristo, il significato delle parole vivere o morire appare addirittura un po’ confusa. L’affermazione di Paolo ci rimanda ad un concetto superiore di vita e di morte, ed alla capacità di dare alla nostra vita ed alla nostra morte il senso inteso da Dio. Dio, infatti, intende la morte come il momento di passaggio a qualcosa di eterno e glorioso, dopo aver pregustato e diffuso la visione di tale eternità e di tale maestosa gloria attraverso la vita terrena. Come possiamo affermare questo? Esaminando la vita, l’opera e le parole dell’apostolo Paolo. Paolo si trova in prigione a causa dell’Evangelo, eppure questo non gli impedisce di affermare che “Quanto mi è accaduto ha piuttosto contribuito al progresso del vangelo; al punto che a tutti quelli del pretorio e a tutti gli altri è divenuto noto che sono in catene per Cristo; e la maggioranza dei fratelli nel Signore, incoraggiati dalle mie catene, hanno avuto più ardire nell’annunciare senza paura la parola di Dio” (Lettera ai Filippesi 1:12-14). In pratica il vivere e la fede di Paolo non venivano determinati dalle circostanze esterne. I problemi non potevano ostacolare il suo zelo per Cristo, anzi, divenivano un pretesto per attirare altri sulla stessa scia, indirizzandoli al superamento delle difficoltà per offrire un vero servizio al Salvatore. Un altro tassello per la comprensione di questo testo si trova nel verso 20, in cui l’apostolo fa un riferimento personale: “Secondo la mia viva attesa e la mia speranza di non aver da vergognarmi di nulla; ma che con ogni franchezza, ora come sempre, Cristo sarà glorificato nel mio corpo, sia con la vita, sia con la morte” (Lettera ai Filippesi 1:21) Che parole meravigliose! Per Paolo perfino il martirio avrebbe costituito un trampolino verso Cristo anziché un motivo di rimpianto per ciò che lasciava sulla terra. L’argomento centrale, tuttavia, non è la sfera eterna, che Paolo affronta con assoluta sicurezza, bensì quella terrena: egli vuole che nessuna circostanza, nessuna difficoltà, niente di quello che accade al suo corpo possa divenire un intralcio, ma che tutto converga verso la persona di Cristo e la glorifichi. La morte di un uomo di Dio diviene importante solo se ha vissuto una buona vita, tesa a far risplendere Gesù in ogni aspetto della sua esistenza. E infine, considerando l’espressione contenuta successivamente nella Lettera ai Filippesi desidero portare la vostra attenzione, porre l’accento su alcune parole: “… Combattendo insieme con un medesimo animo per la fede del vangelo, per nulla spaventati dagli avversari. Questo per loro è una prova evidente di perdizione; ma per voi di salvezza; e ciò da parte di Dio…”. La fede cristiana è una lotta, che implica inevitabilmente la presenza degli avversari, di stati d’animo ben definiti, e quindi della necessità della perseveranza. Purtroppo alcuni lo dimenticano troppo spesso, e si ritrovano incapaci di affrontare con coraggio gli avversari, qualsiasi essi siano: il mondo, la tentazione, gli stati d’animo, i legami interiori, le varie situazioni. Comprendiamo allora che le parole “per me il vivere è Cristo, e il morire guadagno” non sono una sorta di formula da ripetere, alla ricerca di un’esistenza che in realtà è … inesistente, ma una posizione di vita possibile solo se al centro della vita c’è Gesù, la Sua persona, la Sua opera, la Sua gloria e potenza. Chi ha compreso questo, e lo ha sperimentato nella propria vita, può certamente affermare che morire è un guadagno, ma, in attesa di incontrarLo, il vivere è Cristo. Puoi anche tu affermare: “Per me il vivere è Cristo”? Possa il Signore rivelare anche a te che solo il vivere per Cristo è l’unica cosa che darà una vera ragione ed un vero significato alla tua vita.
Roberto Renda
Fonte: http://www.assembleedidio.org/
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