Asif Masih, 16 anni, si trova in carcere e rischia la pena di morte. Ha rischiato il linciaggio ed è stato salvato dalla polizia. L’imam lo accusa di aver bruciato il Corano. Attivisti cristiani: “Il ragazzo ha un ritardo mentale. Deve essergli concesso il beneficio del dubbio”.
Lahore – Asif Masih, un adolescente cristiano di 16 anni, è stato arrestato in Punjab (Pakistan) con l’accusa di aver bruciato le pagine del Corano. Per lui, la legge parla chiaro: andrà a processo per blasfemia e rischia la pena di morte. Il padre ha negato ogni accusa e lamenta che il ragazzo è stato incastrato per ragioni economiche. Ad AsiaNews attivisti cristiani sostengono che egli soffre di problemi mentali. Cecil Shane Chaudhry, direttore esecutivo della Commissione nazionale Giustizia e pace (Ncjp) della Conferenza pakistana, afferma: “Il ragazzo è un raccoglitore di immondizia ed è instabile [mentalmente]. Perciò merita il beneficio del dubbio. Speriamo che la verità prevalga e la giustizia faccia il suo corso. Dopo tutto, molti musulmani sono stati perdonati dopo che è emerso che non avevano insultato il profeta dell’islam”.
L’incidente è avvenuto il 12 agosto nel villaggio di Jamkay Chattha, vicino la città di Wazirabad. Il ragazzo è stato accerchiato e picchiato con violenza da una folla inferocita di musulmani che lo incolpava di blasfemia. Egli è stato salvato grazie all’intervento degli agenti, che poi lo hanno arrestato. Nella denuncia depositata contro Masih, l’imam della moschea locale Arshad Ali sostiene che il giovane “ha gettato benzina sulle pagine del sacro Corano e delle Surah e ha appiccato il fuoco mentre era sui gradini della moschea. Poi è fuggito. Noi abbiamo spento le fiamme, ma il Corano era del tutto bruciato”.
La famiglia di Masih respinge quanto addebitato. La Ong cristiana “Center for Legal Aid, Assistance and Settlement” ha potuto incontrare i genitori e raccogliere la loro testimonianza. Al termine della visita, Joseph Francis, direttore nazionale dell’organizzazione, ha dichiarato: “Asif è un giovane analfabeta e presenta anche un lieve ritardo mentale”.
Secondo il rapporto annuale della Ncjp, in Pakistan lo scorso anno 17 persone sono state accusate di oltraggio all’islam. Di queste, 10 sono musulmani, 6 cristiani e un indù. Nel 2015, altri 52 cittadini sono rimasti vittime della “legge nera” sulla blasfemia.
Kakkazai Aamir, scrittore e ricercatore, spiega che “la norma che punisce le offese contro Maometto è stata introdotta nel 1860 sotto il dominio britannico. Alla partizione con l’India nel 1947, il Paese ha ereditato la legge, che però è rimasta lettera morta fino al 1980, quando è arrivato al governo il dittatore e generale Zia-ul-Haq. Egli ha dato una connotazione religiosa islamica al Paese reintroducendo le pene. Fino a quella data, il massimo della punizione erano tre anni di carcere. Nel 1982 è stata aggiunta una clausola che prevede l’ergastolo per la dissacrazione ‘volontaria’ del libro sacro. Nel 1986 una sezione separata raccomanda la morte o la prigione a vita”.
Il ricercatore riferisce che dal 1987, anno successivo all’introduzione della pena capitale per i blasfemi, sono stati incolpati 663 musulmani, 494 ahmadi, 187 cristiani e 21 indù. “In tutti questi casi – aggiunge – la norma è stata utilizzata per risolvere dispute personali che non hanno niente a che vedere con la religione. Dobbiamo educare i musulmani del Pakistan a non prendere la legge nelle loro mani. Il loro compito è riportare gli eventuali casi alla polizia, non farsi giustizia da soli. L’educazione deve avvenire attraverso le scuole, i licei, le moschee, i social media, la stampa”.
(Ha collaborato Shafique Khokhar) (AsiaNews)
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