Come un uomo sulla terra, AA.VV., libro+DVD, Infinito Edizioni 2009, pp. 144, € 15.
Recensione di Federica Gramiccia, DiRS-GBU
La porta di ferro è chiusa a doppia mandata. Dalla piccola feritoia si affacciano i volti di due ragazzi africani e di un egiziano. L’odore acre che esce dalla cella brucia le narici. A terra stuoini e qualche lercio materassino in gommapiuma. Due stanze di tre metri per quatto con trenta persone ammassate una sull’altra. Siamo a Zlitan, in Libia, e i detenuti non sono presunti terroristi ma immigrati arrestati a sud di Lampedusa e lasciati marcire in carceri fatiscenti. Come un uomo sulla terra è il documentario che ha rotto il silenzio sugli accordi tra Italia e Libia e ha svelato le terribili violenze subite dai migranti arrestati e respinti. Un racconto pieno di dignità che ha commosso e indignato centinaia di migliaia di italiani. In questa versione è corredato da un inedito libro di testimonianze arricchito dalla prefazione di Ascanio Celestini e dall’introduzione di Christine Weise, presidente della Sezione Italiana di Amnesty International. Il protagonista, Dagmawi Yimer, ripercorre la sua storia attraverso il racconto dei superstiti dell’emigrazione africana in Italia. Dagmawi nasce nel 1977 ad Addis Abeba, in Etiopia, ed abbandona il suo Paese dopo i brogli elettorali e le violenze del 2005, sbarcando in Italia soltanto nell’estate del 2006, dove ha ottenuto lo status di “protezione umanitaria”. Sfogliando questo libro o guardando il documentario, forse preferiamo credere che non sia vero, che non esiste alcun prezzo da pagare per arrivare in Italia, che non ci sono galere in Libia, che sono arrivati da noi perché le nostre frontiere sono un colabrodo e i nostri concittadini non sono razzisti come gli altri europei, che se fossimo noi a emigrare da loro non ci farebbero entrare. L’Archivio delle Memorie Migranti, di cui quest’opera fa parte, risponde all’obiettivo di lasciare una traccia, nella coscienza e nella consapevolezza della nostra società, del vissuto collettivo di alterità in cammino e di imprenditorialità umana espresse dal fenomeno migratorio nell’Italia di oggi: un fenomeno che si conosce poco e a cui si presta attenzione solo per fatti di cronaca o per le consuete tragedie in mare, che turbano (per qualche momento) le nostre estati.
Gli italiani non sembrano voler ricordare la loro lunga e dolorosa pagina migratoria, né amano richiami al passato coloniale, breve ma non per questo poco traumatico, i cui esiti incerti e ignorati arrivano fino a noi, a cominciare dalla formazione di quell’immaginario coloniale di superiorità e razzismo che rispunta nelle leggi di contrasto al fenomeno migratorio e nel rifiuto di estendere agli immigrati, anche se di seconda generazione, i diritti civili e politici. L’insieme delle vicende che leggiamo in rete e sui giornali, che ascoltiamo alla radio o in televisione vanno a far parte di una grande narrazione nei confronti della quale non ci chiediamo più se si tratta di verità o di finzione. Per noi è diventata solo una questione di gusto: queste storie ci gustano o ci disgustano. Chiederci se il lavavetri che incrociamo al semaforo o il facchino che intravediamo al supermercato è qualcosa di più di uno scocciatore che chiede l’elemosina o un’ombra che si affaccia alla porta di un magazzino è un dovere per chi si definisce cristiano. Scambiarci due parole prima che scatti il rosso, prima di riempire il carrello e andare alla cassa, è un dovere per chi si definisce un seguace di Cristo. “Tratterete lo straniero, che abita fra voi, come chi è nato fra voi; tu lo amerai come te stesso.” (Levitico)
Federica Gramiccia
Fonte: http://www.cristiani.info/
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