Promesse balneari, i leader si creano i loro alibi

Palazzi del potere chiusi per ferie e politici che non rinunciano alle loro boutade. E’ la rappresentazione plastica di queste settimane di dibattiti e discussioni, se si leggono i giornali e si osservano i movimenti dei principali leader di partito e di governo. Si potrà obiettare che ogni estate è così e che quando il Parlamento va in vacanza gli esponenti più in vista della politica se le inventano tutte per far parlare di sé e per occupare la scena. Quest’anno, però, questa tendenza sembra accentuarsi perché la legislatura è agli sgoccioli e le scadenze elettorali incombono, sia a livello nazionale che regionale.

Nella fiera delle ovvietà propagandistiche imperversa la demagogia più spinta, che si nutre di soluzioni miracolistiche e di effetti scenici mirabolanti, alimentata da tutti gli attori politici, a prescindere dallo schieramento. La cosa che fa più sorridere, però, è che protagonisti di queste sceneggiate sono coloro che hanno governato l’Italia negli ultimi venti-trent’anni, senza preoccuparsi minimamente di fare le cose che ora dicono di voler fare se tornassero a governarla. Nelle altre democrazie mature, alcune delle quali fondate su un collaudato bipolarismo, chi vince fa le cose che annuncia in campagna elettorale e chi perde gli fa le pulci in modo costruttivo, ma accettando il ruolo di opposizione, senza colpi bassi e meschini sabotaggi delle istituzioni democratiche. Chi governa e si dimostra non all’altezza di fare le cose che aveva promesso, si fa da parte e la sua area politica attiva i processi di selezione interna per individuare un nuovo cavallo vincente. Nel nostro Paese questo ricambio meritocratico fondato sulla volontà popolare e sulla democrazia interna alle formazioni politiche e alle coalizioni è una chimera, anzi in questi ultimi mesi sembrano tornati perfino i dinosauri della Prima Repubblica, rimasti dietro le quinte e ora pronti a riproporsi financo come candidati.

Nel centrosinistra è già iniziata la corsa al riposizionamento. Il primo a volersi riposizionare, ma a Palazzo Chigi, è ovviamente Matteo Renzi, che aveva promesso agli italiani di abbandonare la politica in caso di sconfitta al referendum del 4 dicembre ma in realtà non l’ha fatto e anzi parla come se dovesse governare l’Italia per i prossimi vent’anni. Girando il Paese in lungo e in largo per presentare il suo libro, dispensa ricette economiche, fiscali e per ogni emergenza sul tappeto, come quella dell’immigrazione, ma non risponde a domande sull’affare Consip, che pure allunga ombre inquietanti sulla sua famiglia e sul suo entourage, e quando era a Palazzo Chigi ha sempre mostrato di privilegiare il cosiddetto effetto-annuncio (vedi 80 euro) anziché varare riforme di lungo periodo che avrebbero potuto davvero dare al Paese una prospettiva di crescita. Contraddittorio anche il suo atteggiamento sulle Organizzazioni non governative. Qualche mese fa i Cinque Stelle avevano sollevato dubbi su alcune di esse, invocando verifiche, oggi Renzi dice le stesse cose che dicevano i pentastellati. Ma il circuito mediatico se ne guarda bene dall’evidenziarlo. Il cittadino comune, di fronte allo storytelling del segretario dem, potrebbe replicare con la più classica delle domande: “Ma quando eri a Palazzo Chigi perché queste cose non le hai fatte tu anziché scriverle nei libri quando non sei più li’?”.

Stessa cosa si potrebbe obiettare nei confronti di Berlusconi e del centrodestra. L’ex Cavaliere nel 1994 aveva promesso la rivoluzione liberale con un milione di posti di lavoro, benessere e prosperità per tutti, rilancio dell’economia e tante altre cose. Quando è stato disarcionato per ben due volte da Prodi, ma anche da tecnici come Dini prima e Monti poi, si è sempre difeso sostenendo che non gli avevano fatto fare quello che avrebbe voluto fare, ma poi non ha mai pensato realmente alla sua successione ed è rimasto pervicacemente in prima linea, dimostrandosi a onor del vero l’unico in grado di tenere unito il centrodestra. Risultato: ancora oggi pontifica su flat tax, rapporti con la Libia, vincoli finanziari europei e quant’altro, come se dovesse tornare a Palazzo Chigi e governare per altri vent’anni, mentre è quasi certo che non potrà mai più ricandidarsi, a meno di improbabili riabilitazioni da Strasburgo. Anche nel suo caso si potrebbe obiettare che le cose che dice oggi non le ha fatte quando avrebbe potuto farle e aveva il potere di farle. Ma i media se ne guardano bene dal metterlo in evidenza, anzi lo incoronano ogni giorno leader di opposizione, pur sapendo che l’asse tra lui e Renzi, non solo sulla legge elettorale ma su molto altro, rimane più che mai in piedi.

La politica balneare somiglia quindi sempre più alla commedia delle finzioni e degli inganni, alla politica delle ipocrisie e degli alibi, del “non mi hanno fatto lavorare”, dell’”avrei voluto ma non ho potuto”, della richiesta di un’altra investitura “per completare il lavoro avviato”. E’ questo il sintomo di una politica decadente e avvitata su se stessa, immiserita da logiche autoconservative che premiano interessi di apparato ma allontanano l’elettorato da ogni prospettiva di effettivo coinvolgimento nei processi decisionali. Eppure il web, per fortuna, da tempo racconta un’altra Italia più inclusiva, che questo schema l’ha già bocciato da tempo. E’ un’Italia di giovani che vuole scommettere sul futuro, non sul peggio del passato.

di Ruben Razzante | Lanuovabq.it


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