I recenti dati diffusi dall’Istat sullo stato di salute delle famiglie in Italia non lasciano, purtroppo, spazio a facili ottimismi: “Nel 2013, il 12,6% delle famiglie è in condizione di povertà relativa (per un totale di 3 milioni 230 mila) e il 7,9% lo è in termini assoluti (2 milioni 28 mila). Le persone in povertà relativa sono il 16,6% della popolazione (10 milioni 48 mila persone), quelle in povertà assoluta il 9,9% (6 milioni 20 mila). L’incidenza di povertà assoluta è aumentata dal 6,8% al 7,9% (per effetto dell’aumento nel Mezzogiorno, dal 9,8 al 12,6%), coinvolgendo circa 303 mila famiglie e 1 milione 206 mila persone in più rispetto all’anno precedente. La povertà assoluta aumenta tra le famiglie con tre (dal 6,6 all’8,3%), quattro (dall’8,3 all’11,8%) e cinque o più componenti (dal 17,2 al 22,1%). Peggiora la condizione delle coppie con figli: dal 5,9 al 7,5% se il figlio è uno solo, dal 7,8 al 10,9% se sono due e dal 16,2 al 21,3% se i figli sono tre o più, soprattutto se almeno un figlio è minore. Nel 2013, 1 milione 434 mila minori sono poveri in termini assoluti (erano 1 milione 58 mila nel 2012)” (fonte: ISTAT). E la tendenza non sembra certo migliorata nel primo semestre 2014.
Eppure i mezzi di informazione nei mesi passati sembravano annunciare una “primavera italiana”, in cui la solidità del governo, l’interesse degli investitori istituzionali per i nostri titoli del debito pubblico, la voglia del Paese di uscire dal tunnel dopo 7 anni di crisi economica e finanziaria dovevano dare il la ad un’inversione di tendenza rapida, convinta e fruttuosa. Il giovane e brillante premier Matteo Renzi sembrava personificare perfettamente quest’aria nuova. La realtà dei fatti, numeri alla mano, appare però molto differente.
Ma non sono anni che il nostro Paese sopporta sacrifici nel segno della cosiddetta “austerità”: perché i frutti tardano ad arrivare? Come stanno davvero le cose? L’austerità, quella vera e virtuosa, consiste nell’imparare a fare di più e meglio a parità di risorse, a risparmiare per potere finanziare investimenti a favore della crescita. Se pensiamo al peso enorme della spesa pubblica – circa 800 miliardi di euro all’anno, di cui circa 85 solo per pagare gli interessi passivi sul debito pubblico – ci accorgiamo invece che su questo fronte di “austerità” non si è proprio visto nulla: la macchina pubblica continua a girare a pieno regime, drenando una fetta enorme della ricchezza prodotta dal settore privato.
Il perimetro pubblico, infatti, non accenna a diminuire, e come un Moloch insaziabile reclama sempre nuove vittime. Il terreno ideale per fare prosperare burocrazie parassitarie, clientele ed imprese “assistite” dal denaro pubblico. Per poi dare la colpa dei deficit al solito “untore”, l’evasore cattivo che non assolve il proprio dovere civico a danno della collettività. Perché, si sa, “se pagassero tutti si pagherebbe meno…”. La caccia all’evasore di Cortina di pochi anni orsono, sotto la luce dei riflettori, rimane come l’emblema di una strategia il cui esito ultimo – al di là delle intenzioni – è quello di fornire un alibi allo Stato per continuare a sperperare risorse.
E se la situazione non venisse dall’Agenzia delle Entrate ma, piuttosto, dall'”Agenzia delle uscite”? Se invece di aprire ancora di più i rubinetti pensassimo prima a chiudere le falle nella vasca? Un compito questo certamente meno gratificante, perché invece di solleticare le invidie sociali e la delazione, mettendo una categoria contro l’altra, richiederebbe di andare a colpire un intero sistema di Stato assistenziale ed imprenditore cresciuto a dismisura negli ultimi 50 anni, con complicità, connivenze, clientele e lobby a tutti i livelli della società civile e tra tutti i gruppi politici. Non certo il modo migliore per un politico per acquisire popolarità e consensi.
Se le cause profonde della crisi che stiamo vivendo – come abbiamo avuto modo di indicare in altri articoli – affondano nell’ipertrofia dello Stato – generatore di deficit pubblico, che si cumula in debito, che a sua volta genera ancora deficit, in una spirale perversa – oltre che in una pressione fiscale vessatoria che spinge le imprese a delocalizzare gli impianti e toglie risorse per investire, crescere, assumere, in una crisi demografica che assume sempre piú i connotati di un suicidio collettivo, non deve stupire che la situazione non stia per nulla migliorando. Anzi.
Per invertire la tendenza – con uno sforzo non di mesi, ma di anni, visto che la crisi in corso non è di tipo congiunturale ma generazionale – si dovrebbe, ragionando da “statisti” e non da demagoghi:
– abbassare la pressione fiscale su famiglie ed imprese: i governi degli ultimi anni hanno fatto l’opposto, accanendosi in particolare sugli immobili, sull’iva, sul risparmio;
– rilanciare il ruolo della famiglia come cellula fondamentale della società, e la sua connaturale funzione procreativa: non solo non si è introdotto il quoziente familiare, ma è la stessa idea di famiglia uomo-donna-figli che diventa oggetto di attacchi sempre più virulenti;
– incentivare il risparmio, difendere la proprietà privata e la libertà di iniziativa: ma allora continuare ad innalzare la pressione fiscale non è esattamente la cosa più saggia da fare…e non sarà colpire l’evasore di Cortina ad aiutarci.
Se dunque, concludendo, le “terapie” messe in atto dagli ultimi governi per invertire tendenza ed uscire dalla crisi hanno creato un clima ancora più ostile per la famiglia, per il risparmio, per l’impresa e per la libertà di iniziativa, a tutto vantaggio dell’invadenza pubblica, delle lobby e dei vari clientelismi, dobbiamo davvero stupirci che la situazione non accenni a migliorare? Chi ha il coraggio di aprire un’attività economica, di mettere su famiglia, di comprare casa in un Paese che si dimostra ostile nei confronti di famiglie ed imprese, dove la proprietà privata ed il risparmio sono visti con sospetto? Dove invece del merito e della competenza si premiano le affiliazioni politiche, sindacali, quando non malavitose? Dove la giustizia è lenta, inefficace e spesso strabica? E non si venga a dire che è colpa della Germania, o dell’Europa: noi italiani siamo bravissimi a farci del male da soli.
di Maurizio Milano
Tratto da: http://www.lanuovabq.it/
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