Se 100mila giovani se ne sono andati dall’Italia, “non è che qui sono rimasti 60 milioni di ‘pistola’. Conosco gente che è andata via e che è bene che stia dove è andata, perché sicuramente questo Paese non soffrirà a non averli più fra i piedi”. Sta facendo discutere molto, e da qualche giorno, l’uscita del ministro del Lavoro Giuliano Poletti. Polemiche dure (i giovani del Pd hanno perfino chiesto le sue dimissioni) che stanno oscurando quelle sul neo ministro dell’Istruzione Valeria Fedeli, “beccata” a mentire sulla laurea e forse addirittura sul diploma.
Eppure, se le dichiarazioni di Poletti hanno un’eco mediatica così prorompente, una ragione c’è. E non si tratta solo del fatto che il ministro dovrebbe spiegare come mai suo figlio Manuel, giornalista di 42 anni, non sia emigrato, forse grazie a una serie di cospicui contributi pubblici che hanno garantito alla cooperativa Media Romagna di cui è presidente (lo è diventato ai tempi in cui il padre era presidente di LegaCoop, immaginiamo mandando un normale curriculum vitae) la bellezza di mezzo milione di euro in tre anni. Il punto vero è che quanto ha detto Poletti contraddice una serie di dati di fatto che dimostrano come, in Italia, la condizione giovanile sia a dir poco insostenibile.
Basta dare un’occhiata al report ufficiale Eurostat per capire quanto i nostri figli siano ridotti male. Anzitutto ci sono i Neet (Neither in employment nor in education and training), i giovani fra i 15 e i 29 anni che non studiano né lavorano e che, in Italia, non sono una percentuale trascurabile: il 24,6% contro il 20% della Spagna, il 14,4% del Regno Unito e il 12,7% della Francia, il 7,5% della Germania. Peggio di noi vanno solo la Bulgaria (25,8%) e la Grecia (27%), mentre fa meglio la Croazia (21,4%) e la Repubblica Ceca (12,8%), che resta sotto la media europea del 15%. E non si tratta solo di nullafacenti visto che, se consideriamo il tasso di occupazione, scopriamo che l’Ue ha una media del 48,4% di occupati fra i maschi e 43,4% fra le donne, mentre l’Italia i due sessi si fermano rispettivamente al 31,6% e al 24,6%, peggio perfino della Spagna, che arriva al 32,8% e al 32,3% (in Germania e Gran Bretagna gli occupati, maschi o femmine che siano, arrivano quasi al 60%).
Caratterizzato da cifre opposte, ovviamente, il tasso di disoccupazione che è pari al 29,7% contro il 18,3% della media europea, il 17,7% della Francia, il 15,2% della Gran Bretagna e il 7% della Germania. Come non bastasse, col 34,4%, siamo fra i primi anche per tasso di povertà ed esclusione sociale a fronte di una media europea del 28,3%. Lo stesso per quanto riguarda le situazioni di giovani in grave deprivazione materiale: il 15,1% contro una media europea dell’11,2%, l’11,9% del Regno Unito, il 6,7% della Francia, il 4,7% della Germania. Una percentuale ancora più alta dell’11,5% certificato dall’Istat, dovuta probabilmente al fatto che gran parte della popolazione più povera è formata da famiglie numerose che hanno spesso figli di età compresa fra i 15 e i 29 anni che non riescono a trovare lavoro. Tanto più che i dati sopra citati, per essere paragonabili fra tutte le nazioni europee, sono riferiti al 2013 e non ai giorni d’oggi in cui la disoccupazione giovanile, per esempio, è arrivata al 37% (nel 2015 ha toccato addirittura il 44%).
C’è chi dice che molti dei giovani che si lamentano siano in realtà poco intraprendenti, svogliati, desiderosi di stare per sempre con papà e mammà, usciti a calci da quelle facoltà che non preparano al mondo del lavoro come Lettere o Scienze della Comunicazione, ribattezzate anche Scienze delle merendine o della disoccupazione. In alcuni casi può darsi sia così. Il punto è che, indipendentemente dal fatto che siano dei geni o dei “pistola”, come li chiama Poletti, i giovani vanno all’estero per trovare condizioni di vita migliori. Basti guardare la classifica che la società di consulenza multinazionale Willis Towers Watson sul reddito d’ingresso per i giovani specializzati: 27.400 euro lordi, cifra che ci piazza all’ultimo posto fra 15 nazioni europee prese in considerazione. La Spagna, quattordicesima, arriva a 30.700, la Francia a 33.400 mentre fanno decisamente meglio la Germania (45.800), la Danimarca (51.400) e la Svizzera che, con ben 83.600, si conferma una delle nazioni più ricche e competitive al mondo. Per finire l’Italia ha anche una delle imposizioni fiscali più alte al mondo sui redditi individuali: in Europa ci batte solo la Francia, paese in cui però le famiglie godono di enormi detrazioni fiscali.
Poletti potrà anche avere una brutta opinione dei giovani che vanno all’estero. Questi, però, hanno diritto ad avere una cattiva opinione di lui e del Paese che si sono lasciati alle spalle e che non ha offerto loro nemmeno straccio di opportunità.
di Matteo Borghi | Lanuovabq.it
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