di Bernardo Cervellera
Le decisioni sono state prese dal Comitato permanente dell’Assemblea nazionale del popolo. L’allentamento provocherà “solo un leggero aumento delle nascite”. Rimane il potere dello Stato sul controllo della popolazione. I campi forzati di rieducazione attraverso il lavoro vengono aboliti da oggi. Ma le pene comminate finora restano legali: nessuno potrà chiedere risarcimenti o intentare processi contro i carcerieri. Servitori e figli di Dio imprigionati da anni dovrebbero tornare alle loro case. L’abolizione dei laojiao forse è solo un’operazione di cosmesi.
Roma (AsiaNews) – Il Comitato permanente dell’Assemblea nazionale delpopolo ha adottato oggi una risoluzione che allenta la politica del figlio unico. L’organismo ha anche abolito in modo formale i campi di lavoro forzato detti laojiao (rieducazione attraverso il lavoro).
Dal 1979 in poi la Cina ha attuato -spesso con violenza – la politica di un solo figlio per famiglia, per concentrare la nazione sullo sviluppo economico. In seguito si è permesso a gruppi etnici di avere due figli e ai contadini di averne due se il primo figlio era una bambina. L’attuazione della legge è stata spesso violenta, con multe esose contro i violatori e perfino sterilizzazione forzati e aborto fino a nove mesi di gravidanza.
Il rispetto della legge e delle quote di popolazione era compensato con benefici verso gli impiegati e i dirigenti del family planning aprendo lo spazio a corruzione e soprusi.
Negli ultimi tempi la popolazione ha denunciato anche via internet le violenze subite da genitori e dai nascituri. Ma la ragione che sembra spingere verso una revisione della legge sul figlio unico è il cambiamento demografico e psicologico che tale legge sta provocando. Vi è anzitutto una riduzione della popolazione (3,45 milioni l’anno), tanto che in molte fabbriche manca la forza lavoro necessaria. Poi si prevede un invecchiamento della popolazione: nel 2050 più di un quarto della popolazione cinese avrà più di 65 anni, provocando un aumento delle spese sociali di assistenza e cure mediche. Inoltre, a causa della preferenza di figli maschi che ha portato a una lunga serie di aborti selettivi, si è creato in Cina uno squilibrio della ratio: 115 maschi su 100 donne, tanto che i demografi dicono che nei prossimi anni vi sono almeno 24 milioni di cinesi che non potranno trovare mai moglie per mancanza di femmine.
Da tempo diversi scienziati hanno chiesto la cancellazione totale della legge; le autorità del Guangdong e di Shanghai – preoccupate per la mancanza di forza lavoro – hanno chiesto il varo di una legge che permetta due figli per famiglia.
L’allentamento varato oggi permette alle coppie in cui uno dei due partner sia già figlio unico, di avere due figli. Questo produrrà effetti su almeno 10 milioni di coppie, causando, come afferma Xinhua, “solo un leggero aumento delle nascite”.
Il lieve allentamento non toglie il potere dello Stato sul controllo della popolazione. Chi Wanchun, membro del Comitato permanente ha tenuto a precisare che “l’allentamento della politica del figlio unico non significa la fine del family planning”. E Jiang Fan, deputato dell’Assemblea nazionale del popolo ha dichiarato: “Non possiamo rischiare che la popolazione cresca fuori controllo”.
Le direttive dovrebbero essere applicate in modo graduale, dando potere alle autorità provinciali di attuarle secondo i dati demografici delle diverse regioni.
L’abolizione dei laojiao a partire da oggi ha buone possibilità di cancellare una delle più pesanti e arbitrarie violazioni ai diritti umani, di cui sono state vittime personalità politiche, dissidenti democratici, vescovi e sacerdoti cattolici, cristiani protestanti, membri del movimento Falun Gong. Anche l’Onu ha chiesto a più riprese la sua abolizione.
Il sistema dei laojiao è stato varato nel 1957 come freno a crimini di poco conto. La vertigine ideologica del partito comunista ha portato a una diffusa attuazione per soffocare nemici politici e persone non allineate col potere. Esso dà potere alla polizia di comminare contro individui una “detenzione amministrativa” fino a quattro anni, senza processo e senza notifiche alle famiglie dei reclusi. Nei laojiao, oltre ai lavori forzati, i prigionieri sono radunati per sessioni politiche dove vengono “rieducati” al valore della società socialista “con caratteristiche cinesi”.
Secondo un rapporto Onu del 2009, la Cina ha 320 campi di rieducazione attraverso il lavoro e 190mila internati. Cifre del ministero della giustizia cinese affermano che quest’anno vi sono 260 campi di lavoro e 160mila prigionieri.
L’abolizione dei laojiao era stata annunciata all’inizio del 2013, ma si è concretizzata solo oggi, dopo il raduno del Terzo Plenum del Partito comunista, tenutosi lo scorso novembre.
Da tempo, molti cristiani dell’Hebei, sperano che la cancellazione dei laojiao porterà alla libertà di uomini del Signore: Giacomo Su Zhimin di Baoding, Cosma Shi Enxiang di Yixian, Giuseppe Lu Genjun, rispettivamente da 15, 12, 9 anni nelle mani della polizia. Oltre a loro, almeno altri 10 sacerdoti della Chiesa sotterranea sono internati nei laojiao per aver celebrato messe in luoghi non registrati, o aver dato catechismi o ritiri ai giovani. Alcuni sacerdoti che sono stati reclusi, hanno gravi danni fisici e psicologici, a causa delle torture subite.
La risoluzione che cancella i laojiao precisa – come afferma Xinhua – che tutte le pene inflitte fino all’abolizione “rimangono valide” fino ad oggi. Questo servirà perché coloro che vengono liberati non si rivalgano contro i loro carcerieri con azioni legali.
Per Yang Huanning, viceministro della sicurezza, l’eliminazione dei laojiao è dovuta al fatto che “la loro missione storica si è conclusa” e che oggi, le “nuove leggi sulla pubblica sicurezza”, rendono inutile tale sistema.
Varie organizzazioni per i diritti umani temono che l’abolizione dei laojiao sia soltanto un’operazione di cosmesi e che essi saranno sostituiti da altre forme di controllo e isolamento.
L’abolizione dei laojiao non toglie infatti la “detenzione amministrativa”, il potere della polizia di incarcerare persone senza alcun processo: proprio nelle scorse settimane – ed è solo un esempio – sono state scoperte nuove “prigioni nere” a Pechino, dove vengono rinchiusi per mesi portatori di petizioni che reclamano giustizia.
Fonte: http://www.asianews.it/
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