Il fatto: l’Aifa, l’ente nazionale italiano per il controllo sui farmaci, ha stabilito di seguire la decisione presa dall’Emea, l’omologo europeo, di dare il via libera alla dispensazione dell’ulipristal acetato (molecola nota al pubblico come pillola dei cinque giorni dopo) come prodotto da banco. Solo per le minorenni continuerà a servire la ricetta medica. Decade l’obbligo del test di gravidanza.
Contro il cambiamento si erano espressi già il professor Boscia anome dei medici cattolici italiani, il dottor Piero Uroda per i farmacisti cattolici, la ginecologa Emanuela Lulli, del direttivo di Scienza & Vita e il cardinale Sgreccia, già presidente della Pontificia Accademia per la Vita e fondatore del centro di bioetica dell’Università Cattolica. A ben vedere gli operatori sanitari cattolici avrebbero tutto da guadagnare a livello personale da una decisione del genere. Almeno per le maggiorenni, che costituiscono intorno alla metà delle richieste, svanisce la necessità per il medico obiettore di dovere spiegare le ragioni del rifiuto della prescrizione e il rischio conseguente di vedersi trascinato in spiacevoli conflitti mediatici e legali. Il farmacista vede allentarsi la pressione alla dispensazione a causa dell’assenza di prescrizione. Se ragionassimo in termini egoistici ci sarebbe da rallegrarsi.
Ma noi non siamo quel genere di persone, siamo operatori sanitari obiettori sapendo i costi che la nostra scelta comporta, a partire dall’impopolarità, l’ostracismo e la denigrazione che dobbiamo sopportare in una società intossicata di presunti diritti. È proprio perché abbiamo la certezza di essere stati guardati e salvati nonostante le nostre miserie umane che ci sforziamo di guardare e salvare l’altro e per questo genere di cose non vi è necessità di ricorrere ad altro che alla buona scienza ed al buon uso della ragione. Abbiamo dato una scorsa ad alcuni commenti e, ci sia consentito, alcuni ci hanno lasciato basiti. Taluno ha tirato in ballo l’adeguamento dell’Italia a quanto già reso disponibile alle donne europee, quasi che si trattasse d’importare un oggetto di tendenza, una moda e non piuttosto di analizzare in modo serio proprio le esperienze delle altre nazioni. Forse che esiste un solo Paese dove la diffusione come prodotti Sop (senza obbligo di ricetta) dei preparati post-coitali abbia ridotto le gravidanze indesiderate e gli aborti? Lasciamo che si esprimano i membri Gruppo di lavoro Capri della Società Europea della Riproduzione (Eshre) che in un articolo sul prossimo numero di aprile della rivista Human Reproduction scrivono «Non è stato ancora possibile mostrare un beneficio a livello di salute pubblica della contraccezione d’emergenza in termini di riduzione dei tassi di gravidanze indesiderate». Quasi vent’anni di pillolandia e sono sempre al «non ancora dimostrato». In realtà qualcosa di dimostrato comincia ad esserci.
La professoressa Karen Mulligan ha appena pubblicato la valutazione dell’impatto della liberalizzazione della vendita dei preparati ormonali post-coitali negli Stati Uniti rilevando che, contrariamente alle rassicuranti valutazioni precedenti condotte con un follow-up non superiore a un anno, ha condotto a un incremento dei rapporti sessuali a rischio e al conseguente aumento dell’incidenza d’infezioni a trasmissione sessuale senza alcuna riduzione del tasso di abortività. Un illustre professore ha affermato che l’ulipristal «agisce attraverso il rallentamento della liberazione del follicolo -come meccanismo principale- e perciò non può essere considerato un agente abortigeno sulla base delle attuali conoscenze». A parte il fatto che l’ovulazione non consiste nella liberazione del follicolo, ma della cellula uovo da parte del follicolo ovarico (quasi certamente un errore del giornalista), ci pare che l’affermazione sia almeno contraddittoria: se esiste un meccanismo principale, non vuole forse dire che non si escludono meccanismi secondari? E questo è esattamente ciò che riporta la scheda tecnica del farmaco, il documento avente valore legale: «Si ritiene che il meccanismo d’azione primario consista nell’inibire o ritardare l’ovulazione, ma alterazioni dell’endometrio possono altresì contribuire all’efficacia del farmaco».
Per i non addetti ai lavori le alterazioni dell’endometrio sono quelle che possono impedire l’annidamento di un embrione eventualmente concepito. È dimostrato che quando l’ormone luteinizzante raggiunge il suo picco, l’efficacia dell’ulipristal come antiovulatorio decade ai livelli del placebo (Brache, 2010). Quando cioè le probabilità di concepimento sono maggiori, la molecola perde la sua efficacia antiovulatoria e tuttavia l’efficacia complessiva nell’impedire la gravidanza clinica si mantiene costante per assunzioni fino a cinque giorni dopo il rapporto. Tanto per dimostrare che chi scrive segue molto attentamente la letteratura scientifica, si segnala l’ultimo studio del gruppo del Karolinska Institutet volto a sostenere che l’ulipristal non agisce come abortivo. La differenza rilevata in vitro nella probabilità di impianto di embrioni umani su una matrice tridimensionale di endometrio è risultata del 70% quando veniva usato il placebo e del 50% quando i preparati erano incubati con ulipristal. Poiché la differenza era statisticamente non significativa, gli autori hanno formulato una sbalorditiva affermazione: la molecola «non influisce sulla vitalità embrionale e sul processo d’impianto dell’embrione».
Cavolo, come faceva a risultare statisticamente significativa una differenza del 20% con un campionedi solo 10 elementi per braccio sperimentale, vale a dire con una potenza statistica pari a solo un decimo di quella necessaria e incapace di evidenziare una differenza statistica per qualsiasi risultato? È come se si affermasse che non esistono batteri nel pus, perché non ne abbiamo visti usando il binocolo. È questo genere di pubblicazioni e d’interpretazione dei risultati che sono stati utilizzati per celare gli effetti abortivi. Siamo a livelli che in qualsiasi altro campo della medicina verrebbero rigettati come inaccettabili, ma che per magia vengono accolti come schiaccianti evidenze scientifiche quando si tratta di materia copulatoria. Lo hanno ammesso candidamente i protagonisti scientifici in un articolo di solo un anno e mezzo fa quando hanno esortato i colleghi ad «astenersi dall’esaltare i meccanismo d’azione pre-fecondativi per legittimare l’esistenza dei contraccettivi esistenti» (Raymond, 2013).
È la seriale applicazione del doppio standard: i prodotti post-coitali agiscono anche dopo la fecondazione quando si tratta di esaltarne l’efficacia, ma agiscono con meccanismo solo anti-ovulatorio quando si tratta di renderli accettabili da chi ha problemi morali con l’aborto. Agiscono per 5 giorni quando si tratta di convincere della superiore efficacia prescrittori e utilizzatrici, ma devono essere assunti nel più breve tempo possibile quando si vuole pressare il farmacista a violare la propria coscienza. Lo abbiamo scritto già in passato ed oggi lo ripetiamo: non cederemo mai, in scienza e coscienza.
di R. Puccetti e P. Uroda
Fonte: http://www.lanuovabq.it/
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