David Albert Jones è direttore dell’Anscombe Bioethics Centre, di Oxford dal 2010. È ricercatore presso la Blackfriars Hall dell’Oxford University e professore di Bioetica presso la St Mary’s University di Twickenham. Si è laureato in scienze naturali e filosofia a Cambridge e in teologia a Oxford. Nel 2002 alla St Mary’s University ha contribuito a istituire un master in Bioetica. Successivamente è stato nominato professore di Bioetica e co-fondatore del Centro di Bioetica e Tecnologie Emergenti. Un suo articolo apparso recentemente su BioEdge ha offerto interessanti spunti di riflessione sulle notizie eclatanti circolate recentemente circa la creazione di “embrioni sintetici”, senza ricorrere all’unione di due gameti.
Una prima considerazione molto ragionevole è questa: non esiste un “quasi embrione”, come molti hanno scritto. O si tratta di un grumo di cellule, o si tratta di un embrione. Se è un grumo di cellule la sua capacità di moltiplicarsi non ha niente a che fare con la capacità dell’embrione di programmare il suo sviluppo in un soggetto completo composto di diversi organi complessi. Se è solo un grumo di cellule, non è stata fatta alcuna conquista.
Se è un embrione è stata di fatto operata una clonazione.
Con tutti i limiti fisiologici e soprattutto etici che essa comporta. Dal punto di vista biologico, le clonazioni di animali (per es la pecora Dolly) che finora sono state tentate hanno dato vita con estrema difficoltà a soggetti con vita breve e salute pessima. Dal punto di vista etico, la clonazione non rispetta la dignità dell’essere umano, strumentalizza una persona. Sappiamo bene, purtroppo, che in questa nostra società pervasa dal nichilismo, dal relativismo e dalla cultura della morte, ormai da tempo i grandi, i forti, si arrogano il “diritto” di abusare e sopprimere i piccoli e i deboli, basti pensare all’aborto, alla fecondazione artificiale e all’utero in affitto.
Seconda considerazione. Al momento non è chiaro cosa in realtà sia stato ottenuto da questi creatori di “quasi embrioni”. Ma Jones aggiunge che dovremmo essere molto scettici nei confronti delle affermazioni secondo cui questo tipo di ricerca aiuterà a comprendere o curare le malattie genetiche. Affermazioni simili vengono fatte ogni volta che uno scienziato vuole spingersi oltre i confini etici comunemente accettati. Ma dovremmo ricordare che tali promesse non sono state mai mantenute: per esempio quella di salvare 150 vite ogni anno consentendo la fecondazione in vitro con tre genitori biologici; per esempio quella che gli embrioni ibridi animale-umano sarebbero stati la presunta porta di accesso alle cure per ogni malattia, dal Parkinson all’Alzheimer. Tutte promesse crudeli e vuote, dice Jones, montature, false speranze. Poi, una volta “legalizzata” la procedura eticamente discutibile, quel tipo di ricerca è stato rapidamente abbandonato. «Più grandi e generali sono le affermazioni, più dovremmo essere scettici».
Un embrione sintetico non è un “modello” di un embrione, è un tentativo di creare un embrione. Se questo tentativo avrà avuto successo scientificamente, allora sarà eticamente sbagliato. Se non avrà avuto successo scientificamente, allora non servirà a granché. Finora non sono riusciti nemmeno nei topi a far sviluppare fino alla nascita “embrioni sintetici”. Quindi probabilmente non si tratta di embrioni, ma di grumi di cellule poco interessanti. D’altra parte, se ci fosse qualche dubbio sulla reale essenza dell’oggetto creato dai ricercatori, per il principio di precauzione le ricerche dovrebbero essere immediatamente fermate.
E se sono solo grumi di cellule, perché dare tanta risonanza alla cosa? Per aprire una “finestra di Overton”: che se ne parli e se ne discuta affinché certi esperimenti sugli esseri umani diventino presto accettabili e poi legali, anzi “normali” (cosicché chi si opponesse sarebbe considerato un reprobo). Con grande soddisfazione delle ambizioni prometeiche di certi scienziati e del business che sta dietro di loro, che otterrà finanziamenti e sostanziosi profitti.
Infine, ma è la cosa più importante di tutte, bisogna ricordare che questi esperimenti si fanno prelevando cellule da embrioni, cioè uccidendo piccoli esseri umani.
Questo non è mai ammissibile per alcun motivo.
Ma se non riporteremo al centro del dibattito il riconosciemento del concepito come persona, fin dal giorno 1, e se non ribadiremo con forza l’intangibilità della sua vita in nome di quel principio di uguaglianza («Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale…», art. 3 Cost.) che tutti citano, spesso a sproposito, continueranno gli abusi, sempre più spregiudicati, su quei piccolini e su tutti i membri della società che “il sistema” non considera degni di protezione.
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