Nel 2015 sono apparse diverse foto su Twitter che mostravano sostenitori dello Stato islamico con dei bigliettini che inneggiavano al Califfato davanti ai più importanti luoghi del nostro Paese e accompagnati dall’hashtag: #siamotravoi. Minacce concrete e mai sottovalutate dalla nostra intelligence.
Ma è nei testi di propaganda dello Stato islamico che si trovano le parole più dure nei confronti del nostro Paese. Le minacce nel 2015 si fanno sempre più insistenti. A febbraio viene pubblicato il primo documento del Califfato scritto interamente in italiano e intitolato Lo Stato islamico, una realtà che ti vorrebbe comunicare. Il testo è firmato da “Il vostro fratello in Allah, Mehdi”. Nelle pagine che compongono il documento, scritte in maniera piana e con un italiano preciso, Mehdi sembra dialogare con il lettore e lo invita a non credere ai media occidentali – “gli accusatori” – e a provare a sentire anche la voce degli accusati, ovvero gli uomini dello Stato islamico: “Maometto in un Hadith sahih riportato in Bukhari ordinò di ascoltare l’accusato allo stesso modo di come si è ascoltato l’accusatore, ai giorni nostri invece, la maggior parte dei musulmani ha giudicato l’entità dello Stato islamico prestando attenzione solo agli accusatori ascoltando decine di fatawa di ‘ulamaa, leggendo decine di articoli e ascoltando centinaia di notizie accusanti lo Stato islamico, contemporaneamente però, ignorando totalmente qualsiasi tentativo di difesa da parte delle organizzazioni mediatiche del Dawla al-Islamiya”. Un mese più tardi, si scoprì che il ragazzo che ha composto Lo Stato islamico, una realtà che ti vorrebbe comunicare era Elmadhi Alili, uu 20enne italiano di orgini marocchine. Sempre a febbraio la propaganda del Califfato diffonde un documento in cui si preannunciano missili contro la Sicilia.
A marzo esce un filmato in cui finiscono nel mirino Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Italia: “Verremo da voi per massacrarvi e noi sicuramente verremo da voi e vi uccideremo”.
Sempre del 2015 (ad aprile) è il primo video dell’Isis interamente sottolineato in italiano: “Vedrete le battaglie sorgere nelle vostre terre. Se non per annientarvi abbiamo estratto le spade. Affidiamo ai coltelli il compito di sventrare e sgozzare. Mi hai dichiarato guerra con l’alleanza della miscredenza: goditi dunque la mia punizione una volta accesa. Come fai a sfidare gli uomini che pronunciano Allah Akbar! Da te verremo con scempio e morte”. Il filmato dura più di quattro minuti ed è interamente rivolto ai musulmani che parlano italiano e che, potenzialmente, possono affiancarsi alla causa dell’Isis.
Ma è a novembre che arrivano le minacce più crude. Un account legato allo Stato islamico diffonde le immagini di teste mozzate, ordigni esplosivi, ostaggi arsi vivi e scene di guerra.
L’anno nuovo comincia nel peggiore dei modi. I canali dell’Isis insistono ancora di più su possibili attacchi all’Italia. L’obiettivo è Roma. Nel filmato di minacce compaiono san Pietro e il Colosseo, corredati dalla scritta: “Conquisteremo Roma, Costantinopoli e Gerusalemme”. Roma, nell’immaginario dello Stato islamico, è il nemico da abbattere. Non è solo una località geografica, ma un simbolo: quello della Cristianità. Prendere Roma, colpire Roma, significa colpire tutto l’Occidente. “La squadra è già stata preparata. I fratelli hanno già indossato l’armatura e hanno già messo piede nella terra dei Romani, la marcia verso l’obiettivo è cominciata”.
I casi di minacce all’Italia da parte dello Stato islamico sono tantissimi. L’ultimo è stata la minaccia di ieri, rilanciata da Site. Come ha scritto Gian Micalessin su Il Giornale di oggi, “la scelta d’indicare l’Italia come nuovo obbiettivo rientra anche in quella strategia dell”inedito’ utilizzata per cogliere di sorpresa le autorità catalane e spagnole”.
Per le bandiere nere, però, colpire il nostro Paese è più difficile per una serie di motivi. Innanzitutto le nostre forze di sicurezza riescono a monitorare i luoghi a rischio, compreso il web. E poi, come scrive Micalessin, “un ulteriore vantaggio è inoltre garantito dalla marginale presenza di quegli immigrati di seconda o terza generazione che in Francia, Inghilterra, Belgio, e anche Spagna, favoriscono lo sviluppo di gang giovanili legate all’Islam radicale”. Occhidellaguerra.it
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