Perché impedire ai cristiani di pensarla diversamente dalla cultura dominante? Intervista a Silvana De Mari

Silvana De Mari, medico-chirurgo, psicoterapeuta e scrittrice fantasy di fama internazionale e considerata da molti la J.K. Rowling italiana.

Nata nel 1953 in provincia di Caserta, vive a Torino ed è specializzata in chirurgia generale e in psicologia cognitiva, ha praticato la professione di chirurgo in Italia e anche in Africa. Non si definisce una scrittrice, ma un medico che scrive. A noi di Notizie Cristiane sta molto simpatica come scrittrice ma soprattutto come medico, perché Silvana riesce ad affrontare, con molto coraggio, giorno dopo giorno la sua missione di medico da una prospettiva Cristiana… una rarità al giorno d’oggi!

Nel suo genere fantasy ritroviamo alcuni temi cari ai lettori di Notizie Cristiane: L’ultimo elfo, il libro fantasy affronta il tema del genocidio; Arduin il rinnegato, un libro fantasy sul ruolo maschile e femminile; Hania, un libro fantasy dove però si tocca il tema dell’aborto; Io mi chiamo Joseph, un libro di drammatica attualità, il cui protagonista è una ragazzino  nigeriano unico sopravvissuto al massacro di un villaggio Cristiano; Non facciamoci imbavagliare, sulla battaglia per la libertà di parola.

 E’ possibile oggi dare una definizione di famiglia?

Certo: se io e mio marito andiamo insieme in vacanza in albergo, ci classificano come coppia. Quando c’era con noi nostro figlio ci classificavano come famiglia. La famiglia quindi è l’insieme di un uomo, di una donna, e dei bambini che hanno messo al mondo. Questa definizione si modifica ove ci siano incidenti. Per esempio una donna muore di parto, come successo alla mamma di mio suocero, e suo marito resta solo ad allevare i bimbi. In realtà anche qui sono un uomo, una donna e dei bambini: una donna non più nel mondo dei vivi, ma c’è il suo nome, ci sono le sue foto, ci sono i suoi fratelli che sono zii, i suoi genitori che sono nonni, c’è la sua lapide: mio suocero aspettava la domenica per andare in chiesa e poi al cimitero per poggiare la manina sulla lapide. La mamma era lì. La mamma era esistita. Anche lui aveva avuto una mamma. La sua era una famiglia, ma una famiglia amputata. Tutte le donne rimaste sole con i bambini dopo che lui era morto in guerra o in miniera sono state famiglia, certo, ma famiglie dolorosamente amputate, come amputate solo le famiglie di una donna con i bimbi nati da uomini che sono fuggiti, ma quegli uomini sono esistiti come uomini, hanno avuto una faccia e un nome.  Sempre più spesso le famiglie sono amputate e la mancanza di un genitore che se ne va. Molte famiglie si rompono, ma questo non cambia la definizione famiglia: un uomo, una donna e i bimbi che hanno messo al mondo, che devono crescere quindi all’interno di questo nucleo, con un genitore dello stesso sesso con cui identificarsi e uno del sesso opposto per imparare come si gioca col sesso opposto. Le coppie dove tutti sono dello stesso sesso sono le coppie sterili, sono coppie biologicamente sterili e quindi psicologicamente sterili, non possono costituire famiglia. Il bambino nasce già amputato di un genitore ridotto a gamete venduto. Il genitore mancante non è morto, non è scappato, è negato, non c’è. La definizione di famiglia non è un gruppo di persone che si vogliono bene, non è il sentimento o il sentimentalismo che fa la famiglia, ma la potenzialità generativa. “Love is love” è una frase folle: ci sono vari tipi di amore e varie sfumature di amore e non sono intercambiabili: l’amore che porto ai miei amici non è pari né dello stesso tipo di quello che porto a mio marito, l’amore che porto a mi figlio non è paragonabile a quello, reale che ho portato ai miei pazienti. Quando si ama qualcuno, lo si aiuta a realizzare il suo essere, anche biologico. Se un uomo ama un altro uomo, ne diventi l’amico e il sostegno, diventi il padrino dei suoi figli. Non intralci il suo essere uomo. Se un uomo ama suo figlio lo faccia nascere da una madre amata dentro una famiglia solida. Chi squittisce “love is love” e commette il crimine di far nascere il proprio bambino peggio che orfano, con un genitore cancellato in quanto il sesso de genitore cancellato non è amato. Chi insegnerà l’amore della propria virilità al figlio maschio di una donna che si ritiene lesbica e che convive con una donna con cui si scambia pratiche erotiche?  Chi insegnerà alla bambina la fierezza di se, se vive con un padre che ha ridotto sua madre a una prestatrice d’opera e convive con un maschio proprio perché non ama la femminilità?

La famiglia è sotto attacco. Il matrimonio è sotto attacco. L’educazione dei figli è sotto attacco. Contemporaneamente dilagano dottrine contrarie al Vangelo, come possiamo prepararci al peggio?

Con una domanda fondamentale. Questa domanda è: che bene c’è? Quando guardiamo la televisione, o quando la guardano i nostri figli, spesso ci domandiamo: che male c’è? Che male c’è a guardare un film pieno di mostri che parla di pirati buffi e divertenti? Che male c’è a guardare un film con una tizia che s’innamora di un vampiro? Che male c’è a guardare narrazioni dove l’adulterio è magnifico, dove il sesso è un’opinione? Negli ultimi sessant’anni è stata battuta un’etica plurimillenaria. Siamo diventati un popolo sull’orlo dell’estinzione, con il più alto tasso di suicidio dall’inizio dei tempi. Più della metà delle nostre spese sanitarie è investita in antidepressivi. Come siamo arrivati a tutto questo? La televisione in salotto. Ha la stessa valenza educativa di padre e madre. In televisione ci sono telefilm e film dove il personaggio positivo ha l’amante, dove nessuno va a Messa salvo quello antipatico e scemo, dove la sessualità scompare per essere sostituita dal coito continuo e sterile, con la vita nascente considerata come un parassita da schiacciare a spese dello stato. Cominciamo a controllare le narrazioni: prima di permettere a qualsiasi immagine di penetrare nel nostro cervello pensiamoci due volte. Che bene c’è che io guardi questa trasmissione o che la guardi mio figlio? È un documentario storico, oppure un’opera lirica? C’è un bene quindi a guardarlo: si può fare. Se non c’è un bene definito e chiaro, meglio lasciar perdere, perché nulla è neutro. Sono decenni che guardiamo narrazioni che lentamente hanno iniettato il veleno. Regola numero uno spegnete il televisore, non guardate serie televisive, interrompete le narrazioni, a meno che non si tratti di narrazioni di altissimo valore. Non mettiamo nel nostro stomaco tutto quello che troviamo per strada. Non permettiamo che entri nella nostra testa camuffato da intrattenimento qualsiasi cosa. Tutto quello che vediamo, finisce nel nostro inconscio. Pensiamoci un attimo prima di guardare qualsiasi cosa. Secondo punto fondamentale e restare ancorati alla realtà. Due più due fa quattro. Per fare un bambino ci vuole un uomo e una donna. Dobbiamo combattere per l’ovvio.

Come definisce la psicologia il rapporto tra genitori e figli alla luce di quanto vorrebbe realizzare il mondo LGBT? 

La medicina non è una scienza e meno che mai e la psicologia. Esistono criteri precisi, stabiliti da Galileo a Popper, e la psicologia non è in grado di realizzarli. La psicologia dovrebbe essere fatta di rigorosa osservazione scientifica e statistica e buon senso. Purtroppo non avendo al momento il rigore scientifico, la psicologia è stata infiltrata da cedimenti politici. È stato affermato il falso, che un bambino possa crescere senza nessun problema staccato alla nascita da sua madre, che un bambino possa crescere ignorando l’identità del padre. Purtroppo è tutto falso, come ci raccontano i protagonisti di queste  storie. Un libro drammatico sulle loro storie è Jephthah’s Daughters innocent casualties in the war for family ‘equality’. Queste persone si considerano vittime di guerra, si considerano giustamente cavie di un non riuscito esperimento sociale.

I bambini e gli adolescenti hanno ben saldo il concetto di famiglia alla luce delle insidie dei programmi pro “gender”?

Certamente no: una propaganda micidiale, continua, mediata anche dai libri di scuola afferma che tutto è fluido e indifferenziato. Si, afferma che un bambino può fare benissimo a meno della mamma o del papà, che essere maschio o femmina è un’opinione. Che avere il corpo devastato da una gravidanza portata per altri è una bella forma di libertà. Cinguettanti film, telefilm, spettacoli teatrali convalidano questa teoria. I bambini sono confusi. È molto facile confondere un bambino. I bambini tedeschi sono stati convinti che tutto quello che volevano era morire per Hitler andando a fermare un carro armato sovietico, i bambini palestinesi sono convinti che morire da terroristi suicidi è il massimo. Un bambino si può convincere di qualsiasi cosa. Il cervello umano è basto sui neuroni a specchio. Noi imitiamo se si mostrano comportamenti come il suicidio, la bulimia o altro, verranno imitati.

Dottoressa De Mari, potrebbe spiegarci perché il diritto alla vita è catalogabile quale diritto fondamentale per noi cristiani?

Per noi cristiani perché la vita viene da Dio, ma in realtà questo concetto è valido anche per i non cristiani, per motivi semplicemente estetici. In parole povere perché essere vivi è più carino di essere morti. Un feto abortito è esteticamente orrendo. Un neonato al contrario è molto carino. Un paziente celebroleso assistito con amore ha una sua indubbia grazia, mentre lo stesso paziente che muore di disidratazione con la lingua e le labbra spaccate gli occhi infossati nelle orbite è orribile. Anche atei e agnostici di buon senso sono contrari alla morte, anche Pasolini era contrario all’aborto.

Nel corso della cerimonia di consegna del Premio Nobel per la pace nel 1989, Madre Teresa di Calcutta affermò che “la pace oggi è minacciata dall’aborto”. Potrebbe spiegarci il senso di quest’affermazione, soprattutto alla luce della portata sociale delle pratiche abortive viste in questi anni?

Abbiamo creato una cultura di morte. E le sacerdotesse di questa cultura di morte sono diventate le donne. Siamo una società che si sta suicidando. La sessualità è diventata coito sterile, la vita nascente è un parassita da distruggere, a spese del sistema sanitario nazionale. Ogni donna che uccide la creatura che porta, ha una ferita nell’inconscio. Un medico che smembra una creatura che sarà anche un ammasso di cellule, ma è un ammasso di cellule che ha un cuore che batte e dei fasci spino-talamo-corticali in grado di portare al cervello l’informazione del dolore, perde per sempre una parte della sua fede nella vita. Abbiamo il più altro tasso di suicidio, consumiamo antidepressivi come caramelle. Siamo una cultura di morte.

Qual è il motivo principale per la quale è coinvolta in assiduamente attività pro-vita? 

Il fatto è che i neonati sono molto carini. Un feto abortito è orrendo. Questa frase che sto ripetendo non è minimamente ironica. Il concetto di vero bello e giusto è un concetto unico. Molte persone parlano di aborto, ma per loro questa parola è un ammasso di sillabe, è una mestruazione mancata. Invece è l’orrore di un piccolo corpo, smembrato nell’aspiratore. 

 Un messaggio speciale per i lettori di notiziecristiane.com …

Alla fine andrà tutto bene, e se non sta ancora andando tutto bene e perché non siamo ancora la fine. Dobbiamo avere fede. Cristo non è risorto al terzo giorno perché tutto affondi nella cultura di morte.

Pietro Proietto | Notiziecristiane.com

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