Il professor Benedetto Rocchi, presidente dell’OPA, Osservatorio Permanente sull’Aborto, ha scritto una lettera ad Avvenire dopo che in un editoriale il giornale esprimeva dubbi sulla bontà dell’iniziativa
“Non fermare un cuore che batte”. La pubblichiamo volentieri noi, visto che l’Avvenire non l’ha pubblicata.
“Non fermare un cuore che batte”. La pubblichiamo volentieri noi, visto che l’Avvenire non l’ha pubblicata.
Caro direttore,
l’editoriale di Avvenire del 20 luglio scorso firmato da Giuseppe Anzani mi ha definitivamente convinto della bontà del disegno di legge di iniziativa popolare che punta ad introdurre l’obbligo di mostrare alla madre l’ecografia del figlio e di farle ascoltare il battito del suo cuore prima della decisione finale di abortire.
Anzani si barcamena per trovare una posizione “centrista” tra i radicali abortisti e i radicali antiabortisti: e lo fa difendendo la legge 194, nonostante la definisca “dannata”, presentandola come punto di ragionevole compromesso che i radicali di entrambi gli schieramenti dovrebbero finalmente accettare, visto che permette di abortire ma (bontà del legislatore) consente anche di “promuovere ogni opportuno intervento atto a sostenere la donna, offrendole tutti gli aiuti necessari sia durante la gravidanza sia dopo il parto”.
Sappiamo bene quale dei due obiettivi della legge sia stato veramente raggiunto.
Ma il problema dell’articolo di Anzani (e quindi, visto che si tratta di un editoriale, della linea di Avvenire) non è la ripetizione come un mantra della richiesta di un’applicazione completa della legge abortista, anche nella sua parte “preventiva”. Il problema sta nel fatto che per Anzani tentare di risvegliare la coscienza di una madre mostrandole un’ecografia e ascoltando il battito di un cuore non è
un aiuto, ma solo un “tormento emotivo”. Come se l’esperienza dell’aborto, vissuto sempre più spesso nella solitudine della propria casa con la pillola abortiva, la profonda sofferenza della sindrome post-aborto, il rimpianto di tante donne che dopo la scelta di abortire non sono più riuscite ad avere figli, non fossero anche questi tormenti emotivi.
Per Anzani alla donna in difficoltà dovremmo offrire denaro e comprensione, ma non dovremmo tentare di mostrarle ancora il grande miracolo che avviene nel suo grembo. Non dovremmo mostrarle la vita di quel figlio che i protocolli sanitari e una martellante narrazione a tutti i livelli (mediatico, sociale, molto spesso famigliare) vogliono nascondere ad ogni costo.
Gli equilibrismi di Anzani mi hanno fatto ricordare che la vera, la prima prevenzione dell’aborto, non è “intervenire sulle difficoltà, soccorrere, risolvere”: la prima prevenzione è risvegliare la coscienza individuale e collettiva di fronte a ciò che rimane un “abominevole delitto” (GS, 51). C’è sempre il rischio di dimenticarlo nella battaglia per la vita, preferendo una più
comoda lettura sociologica di quel 17% di gravidanze che ogni anno in Italia vengono interrotte volontariamente e legalmente.
Si sa che il nostro Parlamento di solito cestina le proposte di legge che arrivano dal popolo; figuriamoci poi nel caso di una proposta così contraria alla mentalità dominante e alla perenne tentazione del quieto vivere! Ma il successo della raccolta di firme sarebbe comunque un risultato positivo, perchè il disegno di legge ha il merito di costringere tutti a prendere ancora una volta posizione sul problema morale dell’aborto legale. E questo è un bene per la politica, per la società tutta e anche per il movimento pro vita.
Mi sono già informato su come farlo nel mio comune, non è complicato, andrò presto a sottoscriverlo e inviterò tutti gli amici a farlo.
Benedetto Rocchi
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