Per una fraternità possibile

Il teologo e psicanalista Laurent Lemoine ritiene che il ritorno del religioso sollevi numerosi interrogativi e indica quali misure di protezione bisognerebbe adottare.

Il religioso come vettore dell’identitario rassicura e crea comunità, ma a rischio dell’intolleranza, dice il teologo e psicanalista Laurent Lemoine. La fede, al contrario, è nomade, non sa e aiuta ad accettare le assurdità e i vuoti dell’esistenza. Teologo esperto di etica e religioso domenicano diventato psicanalista, Laurent Lemoine è autore del recente Quoi de neuf docteur ? La psychanalyse au fil du religieux (“Novità, dottore? La psicanalisi attraverso la religione”, ed. Salvator).

Come teologo e psicanalista lei nutre molti dubbi su ciò che oggi viene chiamato il ritorno del religioso ed è persino molto critico al riguardo. Perché?
Perché la religione ritorna mostrando il suo lato peggiore. È il ritorno dell’irrazionale, violento e fanatico, il ritorno dei valori – anche se, certamente, abbiamo bisogno di valori – e, peggio ancora, il ritorno dell’ordine morale più rigido. Il ritorno di questo genere di religioso fa paura, perché giustifica l’intolleranza, il rifiuto del dialogo con il pluralismo etico e religioso, il ripristino dei confini e delle identità. Ben venga che le persone abbiano un’identità! Ma l’identità è sempre pluralistica. Spesso tra i religiosi non si riesce più a distinguere l’identità dall’identitario. Per quanto mi riguarda preferirei assistere a un ritorno della fede o di nuove ricerche spirituali.

Laurent Lemoine

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Credenti o no, molte persone oggi si mettono in cammino, si spostano, ridiventano nomadi, cercano

Qual è la differenza tra fede e religione?
La fede è nomade. Non sa, cerca. C’è una frase molto bella di san Tommaso d’Aquino che dice, in sostanza, che non è perché ho trovato qualcosa che ciò che ho trovato esaurisce la domanda. La fede è Abramo nella Bibbia. Parte, ma non sa dove sta andando. E nel corso del suo viaggio s’imbatte in deserti e in oasi. Nella religione invece non ci sono più interrogativi. È tutto saturo e bloccato. La funzione del religioso è di dare un senso. Ma una vita umana significa anche accettare che non ci sia senso ma nonsenso, fallimento, vuoto. Dunque la religione è un vettore naturale dell’identitario. E se non viene elaborata dalla parola porta al fondamentalismo. L’antidoto è la capacità di relativizzare. Non si tratta di relativismo, ma di “deassolutizzare” il nostro ambiente.

C’è oggi un bisogno di spiritualità?
Credo che la grande ondata sia alle nostre spalle. Nel corso degli anni Novanta e Duemila abbiamo sperimentato una fioritura di spiritualità, per esempio quella New Age, a rischio peraltro di dar corpo a insiemi compositi. Questo stesso supermercato della spiritualità faceva seguito alla laicizzazione di massa della società, che ha favorito l’efflorescenza delle spiritualità. Ma la fase che stiamo vivendo attualmente è quella del ritorno del religioso, e non dello spirituale. Dal mio punto di vista si dovrebbe “decongestionare” questo religioso per ritrovare le oasi di spiritualità. Lo rivela del resto il successo dei pellegrinaggi. Credenti o no, le persone si mettono in cammino, si spostano, ridiventano nomadi, cercano.

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Il religioso ha soffocato lo spirituale?
Non direi soffocato, ma il religioso, sì, domina lo spirituale. Lo spirituale accetta una parte di disorganizzazione, può infischiarsene dei confini; ciò che è spesso insopportabile per il religioso, per natura esclusivo e non inclusivo. Se oggi la fede si esprime principalmente sotto la forma del religioso è perché l’umanità ha bisogno di rassicurazioni. Il mondo è precario, minacciato in più modi, dalla crisi ecologica al liberalismo. Di fronte a ciò il religioso, spacciatore di senso, rassicura. È una specie di grande ansiolitico – non dirò che è l’oppio del popolo!. Il religioso crea comunità, tesse legami tra coloro che si assomigliano. E nel farlo favorisce il comunitarismo. È questo l’aspetto mimetico del religioso.

Lei teme un ritorno del totalitarismo in Europa attraverso il ritorno del religioso. Perché?
Perché è strumentalizzabile. È una delle sue peculiarità. Sì, temo che il ritorno del religioso sfocerà in un ritorno della politica autoritaria. Non c’è niente di più religioso – e sono severo – delle grandi assemblee naziste che acclamarono Hitler. In Russia, oggi, Putin strumentalizza il ritorno del religioso e dei valori morali – di cui la gente ha certamente bisogno – per un asservimento al regime politico.

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Temo che il ritorno del religioso sfocerà in un ritorno della politica autoritaria

L’impegno dei giovani che hanno aderito a Daesh e al jihadismo è religioso secondo lei?
In questo caso il religioso risponde a un bisogno di idealizzazione, spesso un po’ paranoico o malinconico. È un’offerta, una fede pronta all’uso, preconfezionata, che soddisfa la domanda dell’adolescente, cercando di aggrapparsi a ideali forti.

La religione è violenta? Quale sarebbe la specificità della violenza religiosa?
Credo che purtroppo le sia congenita, anche se la questione è molto controversa. L’esperienza storica mostra che l’insieme complesso della religione – riti, un culto, un’etica, un testo sacro e altro ancora – conduce alla violenza. È un vettore possibile di violenza poiché la religione ha a che fare con la superstizione, con il pensiero magico. Il grande problema del religioso è l’Uno, il totale chiuso in sé stesso.
La violenza religiosa si manifesta del resto frequentemente nei testi sacri. La Bibbia ne è piena! Mentre il motto repubblicano della Francia include la fraternità, sono colpito, personalmente, da come la violenza fratricida percorra il testo biblico. Basta rileggere la storia di Caino e Abele o quella di Giuseppe e i suoi fratelli. Spesso la violenza religiosa si manifesta lì, sul confine tra fraternità e fratricidio. Come per dirci che è necessario curare la fraternità.
Tra le religioni va in scena un fenomeno ben noto agli psicanalisti, quello di ciò che è familiare ed estraneo allo stesso tempo e genera violenza. Non è questo il caso – o lo è in misura minore – della spiritualità. Perché nel caso della spiritualità c’è una dimensione di ricerca, di esplorazione di qualcosa che non conosco ancora.

C’è molta rivalità tra le religioni. Ma esiste un denominatore comune attorno al quale ritrovarsi, una fraternità possibile?
Sì, a condizione che le religioni accettino di uscire da se stesse, che tentino di superare se stesse, di andare oltre i propri confini verso un orizzonte comune, verso valori condivisi. (da Liberation; trad. it. G. M. Schmitt; adat. P. Tognina)

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