Peccato e Dipendenze… ma io non mi lascerò dominare da nulla!

dipendenza internet 2Le riflessioni che seguono sono principalmente indirizzate a credenti…
Perché spesso sono proprio i credenti, quelli che come me magari hanno anni di fede alle spalle o che hanno masticato anni di convegni e di chiesa, e che, paradossalmente non hanno ancora raggiunto determinate mete nella loro vita.E non perché non si siano impegnati o non abbiano voluto. Ma magari solo perché per arrivare a certe conclusioni capita di dover affrontare un viaggio, a volte burrascoso, come Paolo quando si trovò nel bel mezzo di un naufragio. O come Giona, nel ventre del pesce. Tutti vorremmo gridare terra terra quando siamo in mezzo al mare. Senza troppo penare.
Non che si debba sempre necessariamente penare. Guai a generalizzare o standardizzare le situazioni.
Tuttavia a volte un certo travaglio, per motivi che spesso io stesso ignoro, risulta necessario. Il punto di partenza è cercare di capire come si possano affrontare situazioni che nella nostra vita riconosciamo come vere e proprie dipendenze.

Non serve essere drogati per parlare di dipendenze. La Bibbia dice che “ogni cosa mi è lecita, ma io non mi lascerò dominare da nulla” (1 Cor 6:12).
Questo significa che il vero problema non e’ la cosa in sé ma quello che di questa cosa ne faccio.
Nel momento in cui questa cosa mi domina, ecco allora che siamo di fronte a una dipendenza.
E dunque qualsiasi dipendenza non va bene. Ma perché non va bene? Perché la dipendenza è una specie di strumento che il peccato usa per legare, soggiogare, controllare.
Il peccato crea schiavitù. Il peccato è schiavitù. E la dipendenza è un ottimo strumento che il peccato può utilizzare per raggiungere lo scopo.
Non e’ necessariamente quel che faccio che e’ sbagliato. Ma piuttosto il fatto che non riesco a smettere di farlo.
Quindi paradossalmente se devo lavarmi continuamente le mani, non posso dire che in sé lavarsi le mani sia sbagliato. Anzi tutt’altro. Ma se questo “lavaggio” mi controlla, allora qualcosa non va.
Il peccato tende a schiavizzare.
In Romani 6:16 è scritto: “se vi offrite a qualcuno come schiavi per ubbidirgli, siete schiavi di colui a cui ubbidite: o del peccato che conduce alla morte o dell’ubbidienza che conduce alla giustizia” Dunque l’obiettivo del peccato è creare schiavitù, ossia un’obbedienza forzata.
E quale strumento è migliore della dipendenza ?
Ecco allora che la dipendenza diventa lo strumento del peccato e pertanto non è il problema principale. Lo è invece il peccato! È il peccato che bisogna affrontare.
A volte c’e’ la tendenza a perdere di vista il peccato per concentrare l’attenzione sugli eventi.
Eventi magari traumatici. Famiglie disfunzionali, genitori dediti all’alcool o alla droga. Abusi sessuali. E così via. E in tali tristi circostanze accade, tanto per fare un esempio, che chi e’ stato maltrattato quasi certamente avrà la tendenza a maltrattare. Chi ha vissuto con genitori dediti alla droga, probabilmente ne farà anche lui uso. Chi ha subito ingiustizie, ne commetterà a sua volta.
Il problema, in tutti questi casi, che si tende ad affrontare per primo, è quello psicologico.
Ora di certo un “danno” per così dire psicologico va affrontato.

Ma chi e’ stato abusato non abuserà a sua volta altri per una legge naturale di causa effetto, ma in virtù di una legge che si chiama legge del peccato (Rom 8:2).
Tutti questi comportamenti “disfunzionali” , frutto di infanzie ferite, per quanto tristi e causa di tanti dolori, non sono il vero problema.
Il vero problema e’ invece il peccato che, attraverso questi eventi disastrosi, si alimenta e prende maggior forza.
In Genesi 4:7 leggiamo “se agisci male, il peccato sta spiandoti alla porta, e i suoi desideri sono rivolti contro di te; ma tu dominalo!”
Il peccato è come una spia che non fa altro che aspettare l’occasione giusta. E le ferite emotive sono un occasione ghiotta.
Il fatto che Caino fosse irritato non era il vero problema. Provare dei sentimenti è normale. Anche sentimenti a volte di gelosia.
Il punto è piuttosto cosa Caino ne avrebbe fatto di quella irritazione. E, come sappiamo, attraverso quella irritazione il peccato istigherà Caino ad uccidere il fratello.
Il peccato usa quello che ha a disposizione, perché il suo obiettivo e’ appunto peccare. Poco importa da dove prende l’ispirazione. Può essere un sentimento, un evento, un’ esperienza, una circostanza.

Tutte le difficoltà seminate nell’infanzia sono il terreno ideale sul quale il peccato non mancherà di attecchire, manifestandosi, nel tempo, con vizi, dipendenze, comportamenti errati, ecc.
Le ferite emotive sono il cibo prediletto del peccato. Perché?
Perché così come quando c’è una ferita fisica ed esce il sangue bisogna mettere un cerotto , allo stesso modo quando c’e’ una ferita emotiva bisogna fermare il sangue che esce. E tutti i modi vanno bene.
Alcool, droga, sesso, abusi, cibo, ossessioni, compulsioni, fobie. Tutto fa brodo. L’importante è mettere un cerotto.
E tra l’altro è anche umanamente comprensibile. Solo che purtroppo questo tipo di cerotti non risolve veramente la questione. La seda. Forse la contiene. Ma non la risolve.
E per il peccato quale miglior pasto di questo: approfittare di uomini e donne ferite, quindi deboli, per far diventare quel cerotto (la bottiglia ad esempio) una bella dipendenza!
E una volta che subentra la dipendenza è fatta. Perché il peccato, come abbiamo detto, vuole legare e assoggettare.

Ecco allora che abbiamo fondamentalmente due nodi da scogliere.
Il primo nodo è quello psicologico, per esempio il trauma subito che ha portato conseguenze emotive, se non anche fisiche.
Il secondo è il peccato che si manifesta attraverso la dipendenza.
Molti spesso ci si concentra sul primo nodo. E allora via libera all’autoanalisi, a programmi di psicoterapia, ecc. Ma se sciogliamo il primo nodo ci ritroviamo comunque sempre il secondo, quello del peccato, che la psicologia non può risolvere.
Io posso capire (o elaborare per dirla in termini tecnici) che la mia dipendenza dall’alcool non è altro che la risposta di un bambino indifeso alle botte del padre o della madre e al senso di colpa che quella situazione gli trasferiva. Ma quando l’ho elaborato, non è detto che riesca a smettere di bere. Perché una volta caduto nella dipendenza ho a che fare con un nemico, il peccato, che ha messo una specie di roccaforte, di gran lunga più forte di me.
Di contro , se sciogliamo il secondo, ossia il nodo del peccato, liberandoci dalla dipendenza, dobbiamo poi necessariamente affrontare il primo nodo, quello psicologico, per evitare di ricadere di nuovo nella stessa trappola.

Dio mi ha liberato, ma siccome non ho mai elaborato il trauma, inizio di nuovo a bere.
E infatti non a caso Gesù dopo aver guarito l’infermo (più che il paralitico, perché un po’ poteva muoversi) dirà molto chiaramente: ‘’Ecco, tu sei guarito; non peccare più, ché non ti accada di peggio” (Gv 5:14).

Molto interessante a tal proposito è Efesini 5:18 quando dice: “non ubriacatevi”. Attenzione non dice non bevete. Non dice non toccate un bicchiere di vino. Dice non eccedete nell’alcool.
Ora, è evidente che uno che si ubriaca, nella maggioranza dei casi, lo fa come abbiamo già detto come risposta e reazione a problemi vissuti nella sua infanzia.
La Bibbia allora sembra non capire quello che c’è dietro. A lei importa che tu non beva!
Certo leggendo la Parola di Dio a singhiozzo, un po’ qua e un po’ la può sembrare così.
Uno che beve, rispetto a questo comando, potrebbe dire: “non ce la faccio, è più forte di me”. Mio padre era un alcolista. Mio nonno pure. Mia madre era fredda e insensibile. Mio zio abusava di me. Insomma come faccio a non ubriacarmi!!
Il come si fa è scritto alcuni versetti prima, sempre nella lettera agli Efesini:

Efesini 4: 22-23 avete imparato per quanto concerne la vostra condotta di prima a spogliarvi del vecchio uomo che si corrompe seguendo le passioni ingannatrici; 23 a essere invece rinnovati nello spirito della vostra mente

In altre parole la Parola prima di dire non ubriacatevi, sta dicendo come questo sia possibile:
attraverso il rinnovamento della mente.
Dunque non attraverso una terapia psicoanalitica intensiva. Non attraverso un’accurata auto analisi. No. Piuttosto attraverso il rinnovamento della mente.
Molti libri di psicologia (anche cristiana) ci parlano della necessità di disimparare certi
comportamenti per acquisirne altri, naturalmente più sani. Tutto molto bello.
Ma prima di tutto bisogna imparare il rinnovamento dello spirito della nostra mente.
Di che sta parlando? Forse di imparare a pensare positivo? O magari di imparare ad accogliere i pensieri cristiani invece di quelli del mondo? Si certamente anche di questo.
Ma innanziutto sta parlando dello spirito che ha mosso la nostra mente a mettere in campo certi comportamenti.
L’uomo vecchio deve essere spogliato, denudato. Anzi ucciso!
L’uomo vecchio deve morire non cambiare.
La psicologia (e parlo di quella secolare) vuole migliorare quella brutta persona che siamo diventati. Cristo invece la vuole uccidere, perché ne ha per noi una meravigliosa a disposizione!
E cosa ci propone il nostro Papà? Il rinnovamento per l’appunto.
È come il controllo dell’ortografia in word. Un conto è mettersi davanti tutti i documenti e correggerli a mano a uno a uno , un conto è farlo fare ad una funzionalità del computer studiata per questo.
Allo stesso modo un conto è mettersi davanti tutto il libro della nostra vita e cercare gli errori per correggerli. In tal caso probabilmente non basterà tutta la vita. Altra cosa è farlo fare ad una “funzionalità” che il nostro Papà ci mette a diposizione.
Ma in termini pratici cos’è questo rinnovamento?
È innanzitutto credere. Innanzitutto una mente disposta a credere e a credere veramente. Dunque una mente rinnovata.
Credere che Cristo ci ha liberati dalla necessità di doverci assoggettare alle “regole” dettate dal peccato.
Quante volte abbiamo letto Giovanni 8:36, “se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete veramenteliberi”. Oppure Romani 8:2 “perché la legge dello Spirito della vita in Cristo Gesù mi ha liberato dalla legge del peccato e della morte”. O ancora Romani 6:14 “infatti il peccato non avrà più potere su di voi”.

A questo punto si potrebbe obiettare: ma se Cristo mi ha liberato com’è che non riesco a smettere?
Perché resto sempre un dipendente? uno schiavo? un suddito?
Perché la Parola di Dio può dire tante belle cose, ma per essere efficace nella nostra vita deveessere ricevuta per fede.

Ebrei 4:2 Poiché a noi come a loro è stata annunciata una buona notizia; a loro però la parola della predicazione non giovò a nulla non essendo stata assimilata per fede da quelli che l’avevano ascoltata

Se lo leggiamo nel greco possiamo dire che la parola non giovò a niente perché non fu mescolata con la fede. Non ci fu amalgama. Bisogna impastare la parola con la fede. Solo così verrà fuori il meraviglioso dolce che Dio ci ha preparato.

Limitarsi alla conoscenza della Parola di Dio è come imparare a memoria le ricette di cucina. Alla fine a tavola non si porta niente. E di conseguenza si resta digiuni!
La sola conoscenza delle ricette di Dio non ci serve a molto. Anzi, paradossalmente, può alimentare una certa frustrazione.
Ma se iniziamo a impastare le cose che conosciamo della Parola con la fede, le cose possono cambiare.
Forse, come nel mio caso, per anni abbiamo saputo che non dovevamo basarci sulle nostre forze, ma poi, a conti fatti, è su quelle che ci siamo sempre basati. Dovrei far meglio. Dovrei impegnarmi di più. Dovrei credere di più. Dovrei cambiare qui, modificare li’, rivedere questo, rivedere quello.
Invece si tratta solo di iniziare ad avere fede.
È la fede in quello che Cristo ha fatto che rompe la dipendenza.
Gesù ha rotto il giogo della schiavitù , ma fino a che non me ne approprio, resterò uno schiavo, con tutta la frustrazione che ciò comporta.
Il vizio o la dipendenza verrà a pretendere ancora la nostra obbedienza. Fino a ieri abbiamo cercato di resistere, di non farlo più, di non cedere di nuovo.
Oggi forse possiamo iniziare a credere! A contrapporre la fede!
Quando avremo il mare di fronte che ci sbarrerà la strada, non dovremo tornare indietro nel nostro Egitto di schiavitù. Dovremo piuttosto urlare (non sussurrare) la nostra fede e, come Mosè, dividere le acque.
E passarci dentro!

Una testimonianza personale

Personalmente ho letto molto di psicologia, di comportamenti disfunzionali, di dipendenze. Ma queste righe, proprio perché dette da uno che si è messo continuamente (forse spesso ossessivamente) in discussione, possono avere una certa valenza per chi le legge. Ci tengo a dire che innanzitutto per me vale quanto detto sin qui. Io sono il primo che vuole e deve mettere in pratica tutto questo. È la mia sfida. La sfida che oggi devo intraprendere. È triste dirlo ma dopo anni e anni di fede mi ritrovo a non aver ancora capito veramente cosa sia la fede. Perché probabilmente è solo la fede che può farmi uscire dalla mia barca sbattuta qua e là dal vento di una infanzia spesso non serena, per camminare sull’acqua delle mie ferite, dei miei fallimenti, dei miei patemi, delle mie fobie, dei miei peccati, delle mie dipendenze, e arrivare fino a Gesù.

Nicola Tramontano – notiziecristiane.com


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