A bordo del traghetto Norman Atlantic, sulla rotta Patrasso-Ancona, c’erano probabilmente 499 persone, fra membri dell’equipaggio e passeggeri, quando la nave ha preso fuoco per motivi ancora sconosciuti all’alba di lunedì. In uno dei più gravi incidenti della marineria italiana degli ultimi anni, nonostante gli sforzi eroici dei soccorsi, che hanno dovuto agire in un mare in tempesta, sono morte almeno 11 persone. Otto sono i corpi finora recuperati. Sono 310 quelli sicuramente salvati, ma mancano notizie di altri 179.
Finora sono state sparate cifre anche molto differenti sul numero di dispersi. Fonti greche parlavano di 38, nella mattinata di ieri, adesso siamo arrivati a contarne 179. Una prima lista parlava di circa 450 persone a bordo, poi si è scoperto che 80, fra i salvati non erano registrati nella lista dei passeggeri. E almeno due erano degli emigranti clandestini, di nazionalità afgana. Un po’ sono errori di registrazione (una persona, ad esempio, è stata segnata due volte con lo stesso nome), ma il problema principale è che non si sa quante persone ci fossero a bordo, perché non si sa quante fossero clandestinamente imbarcate. Come è possibile che non si conosca neppure chi e quanti si siano imbarcati su una nave italiana, in una rotta molto frequentata dai turisti, che collega due Paesi dell’Unione Europea?
Chi scrive ha avuto modo, non molto tempo fa, di fare esattamente quella rotta. Ebbene, vi garantisco: è possibile eccome. Te ne accorgi subito, quando entri a contatto con la “simpatica” anarchia del porto di Patrasso. Siamo in fila, in auto, ad attendere il momento del nostro imbarco, quando iniziamo a vedere, io e i miei compagni di viaggio, scene un po’ bizzarre. Il porto diventa tutto un fuggi-fuggi generale di persone dalla pelle olivastra, evidentemente dei mediorientali, che saltano le recinzioni, si coprono, corrono tra un’auto e l’altra, tra un camion e l’altro cercando maldestramente di non farsi vedere. Attorno a loro, invece, sia i portuali che i camionisti (che li possono perfettamente vedere) ostentano una calma serafica. Come se il passaggio furtivo, tra il lusco e il brusco, di tutta questa gente, fosse uno spettacolo normale, anche divertente a giudicare dal sorriso che si dipinge sul volto di alcuni dei camionisti.
Dove va tutta questa gente? Noi non riusciamo a indovinarlo. Ma un’osservazione più attenta permetterebbe di vedere (come rivelano diversi servizi sulla rotta dei clandestini) anche la seconda fase del loro percorso: si nascondono in camion i cui autisti sono, a volte inconsapevoli, a volte già d’accordo con loro per un “passaggio”. Un posto nave assicurato, sicuramente pagato in anticipo molto di più di quanto costerebbe un regolare biglietto di prima classe. Ma per molti di questi disperati, privi di documenti in regola, val la pena di pagare di più per fare un viaggio molto scomodo. Sempre meglio star chiusi nella pancia di un camion, nel buio (e in questa stagione anche nel freddo) di un ponte auto, piuttosto che tentare la fortuna attraversando il Mediterraneo su una carretta del mare. Tutti gli individui furtivi che vediamo sgattaiolare da una parte all’altra del porto, anche in piena luce del sole, una volta saliti a bordo spariscono. Su tutti i ponti si palesano solo turisti benestanti, che prendono il sole, vanno al bar, nuotano nella piscina di bordo. Una crociera, in pieno relax. Gli emigranti del Ventunesimo Secolo, probabilmente, sono in mezzo a noi, ma invisibili, nella loro clandestina terza classe, separati dal resto della nave.
Ma questo solo per la prima tratta del viaggio. Perché cala il sole, si arriva a Igoumenitsa, nell’Epiro, ai confini con l’Albania e la nave da crociera si trasforma, di colpo in nave profughi. Viene presa letteralmente d’assalto da moltitudini di tutte le etnie, neri, olivastri, gialli, nomadi e stanziali, bambini, vecchi, donne, uomini. Non hanno cabine, non sembrano nemmeno interessati a quel che la nave offre, si piazzano sul primo ponte e dormono, mangiano, chiacchierano, passano il tempo, formano crocchi umani in mezzo ai quali è sempre più difficile trovare un varco. C’è tutto il terzo mondo su quella nave. Una città intera galleggiante, il cui vociare non si spegne mai, nemmeno durante la notte, con gran gioia di chi una cabina ce l’ha e vorrebbe soltanto dormire. E sorgono spontanee alcune domande: quanti di questi saranno passeggeri regolari? Quanti saranno i clandestini? Molti di loro hanno l’aspetto di chi ha attraversato deserti e montagne a piedi, come quelli che normalmente la gente vede nei Tg quando arrivano i barconi a Lampedusa, o quando arrivavano gli albanesi in Puglia. Se abbiamo visto come e quanto i portuali di Patrasso non vedono i clandestini, quelli di Igoumenitsa saranno stati più attenti? Se nel porto d’imbarco era necessario nascondersi dentro un camion, nella prima tappa in Grecia la guardia è tanto abbassata da consentire ai clandestini di mostrarsi alla luce del sole? E poi: se succede qualcosa di brutto, questa nave avrà abbastanza scialuppe di salvataggio per contenere tutti? Ne siamo veramente sicuri? Vogliamo sperare di sì e vogliamo sperare che tutti i nostri vocianti compagni di viaggio fossero regolarmente registrati, passeggeri paganti. Non vediamo passare controllori, come succede sugli autobus e sui tram. Non lo auspichiamo nemmeno. Ma almeno all’imbarco presumiamo che un controllo ci sia stato. O no?
La tragedia della Norman Atlantic ha purtroppo dimostrato che la risposta peggiore a tutte queste domande è sempre (o quasi) quella giusta. Tuttora, a più di due giorni dallo scoppio di quell’incendio, non sappiamo quanti fossero a bordo, dove fossero e cosa abbiano fatto quando l’incendio è scoppiato e quanti abbiano perso la vita in mezzo alle fiamme, quanti siano affogati, quanti siano ancora alla deriva, a morire di ipotermia nel freddo di questo fine dicembre.
di Stefano Magni
Fonte: http://www.lanuovabq.it/
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