Il “Centro di Eccellenza” per la “disforia di genere” – dizione introdotta dall’edizione 2013 del Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, al posto di quella precedente, “disturbi dell’identità di genere” – del Policlinico di Bari, unico del Sud, avrà presto un Day Hospital. Riconosciuto e finanziato recentemente dalla Regione Puglia con 170mila euro. La struttura, nella quale si possono effettuare i cambi di sesso, attualmente ha in carico 200 utenti, ma è talmente tanta la “domanda” – sembra che ci sia una lista d’attesa di 30 persone – che si rafforza l’”offerta”, anche in ragione del fatto, fa sapere la Giunta di Nichi Vendola, che “il centro propone una presa in carico globale del paziente transessuale perseguendo diversi vantaggi di utilità sociale: riduzione del rischio di dover ricorrere a attività illegali per procurare denaro necessario alla prosecuzione delle terapie ormonali fino all’intervento chirurgico, riduzione del rischio di terapie ormonali e chirurgiche senza la supervisione di specialisti, riduzione della percentuale di prostituzione dei soggetti transessuali”.
Sono assistiti soggetti in età adulta, ma al “percorso” possono accedere anche adolescenti che presentino problematiche, vagliate dagli psicologi del Centro. Ancora non è dato sapere, invece, se saranno accolti anche i bambini, ma vista l’”aria che tira” e che proviene da molti e autorevoli ambienti di ricercatori – soprattutto statunitensi – non ci meraviglieremmo che questo avvenisse presto. Al “Gender Team” dell’Ospedale San Camillo di Roma, si occupano di bambini, ma “si tratta – dice a “L’Espresso” il Prof. Aldo Morrone, direttore generale dell’Ospedale – di una anomalia evidente alla nascita: cioè, neonati con genitali esterni con caratteristiche intermedie tra quelli maschili e femminili”. Il “Gender Team” del San Camillo opera da vent’anni – ha seguito 1056 pazienti, dei quali 333 hanno modificato la loro identità sessuale, gli altri sono in attesa – e Morrone sottolinea che “Ora siamo arrivati a circa 15 pazienti ogni mese, e non si tratta ovviamente di tutti uomini o donne che vogliono cambiare il proprio sesso. Ma anche di chi ha difficoltà ad accettare le tante sfumature che ci sono in natura quando si parla di sessualità e affettività. Per tante il percorso è di accompagnarle verso un riconoscimento e una piena accettazione delle proprie inclinazioni. Un cammino comunque non facile, ma indispensabile per poter vivere pienamente la propria esistenza senza sensi di colpa, paure, vergogna. Infatti solo poco più della metà delle persone riceve una diagnosi precisa di disturbo dell’identità di genere”. Poi, il direttore generale, fa un appello: “Dobbiamo assolutamente evitare di disperdere questo patrimonio clinico, scientifico e umano che al San Camillo abbiamo raggiunto grazie a ottimi medici e psicologi che ringrazio pubblicamente. Però è necessario fare ulteriori investimenti perché non vadano disperse risorse professionali e strutturali e non solo nella nostra struttura ma in tutto il Paese”.
Gli investimenti per l’ideologia del “gender” arriveranno di sicuro e in attesa che il dibattito, si evolva – e in attesa che, siamo nell’ambito della stessa ideologia anti-umana, il vice-presidente del consiglio regionale della Lombardia, Sara Valmaggi (Pd), vari la sua proposta di “bandi (e quindi di altro denaro pubblico, n.d.r.) su un progetto per l’assegnazione di ore di attività medica finalizzata alle interruzioni volontarie di gravidanza e prevedere forme di mobilità del personale per riequilibrare nelle diverse strutture il numero di obiettori e non” – resta sullo sfondo la situazione disastrosa della sanità pubblica.
Si finanzia l’ideologia con risorse che sarebbero utili a rafforzare un servizio che evidenzia, soprattutto nel Mezzogiorno – oltre ad una teoria infinita di inchieste giudiziarie, che fanno emergere gli scellerati intrecci politico-affaristici – un gap strutturale nei confronti del Nord, determinato da almeno tre deficienze abissali: il 32% della spesa destinato al personale, il rapporto sproporzionato tra posti letto e medici e la “forte migrazione” verso il nord. Per restare in Puglia, che destina quasi il 90% del bilancio regionale alla sanità, basta scorrere i dati – diffusi dalla cronaca barese di Repubblica tempo fa – per rendersi conto della situazione: una donna che vuole fare una mammografia, deve attendere 4 mesi; il secondo screening richiede 3 anni e 4 mesi. Per un’ecografia, occorrono 8 mesi. Per una tac o una risonanza, 6 mesi. Una visita cardiologica per pazienti oncologici richiede 7 mesi e 15 per pazienti non oncologici. Per una seduta di radioterapia con l’acceleratore lineare per un malato di tumore, servono 11 mesi. Al Policlinico di Bari, la prima data utile per una mammografia è 4 mesi, mentre servono 220 giorni per una tac all’addome.
Quasi il doppio per un elettrocardiogramma e un ecocardiogramma. Per una visita neuropsichiatrica infantile, oltre 500 giorni, 370 giorni per una visita cardiologica e 240 per una reumatologica. Mentre la Regione Puglia, solo dopo l’assassinio di una psichiatra, avvenuto l’altro giorno in un Centro di Igiene Mentale al centro della città, corre ai ripari e risponde agli allarmi degli operatori, ponendosi il problema della loro sicurezza. Se si accantonassero l’ideologia e gli investimenti ad essa destinati, forse le cose, piano piano, comincerebbero a prendere un’altra piega.
Da lanuovabq.it
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